Il governo rimanda (per ora) il nucleare, ma le scorie dove vanno a finire? L’Ue vuole interrarle

Pubblicato il 28 Marzo 2011 - 09:37 OLTRE 6 MESI FA

BRUXELLES – Mentre il governo ha approvato una moratoria di un anno sul ritorno al nucleare dell’Italia, rimane sempre sul tavolo la questione di dove collocare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi del passato, un nodo mai definito dal referendum di stop all’atomo del 1987.

Il decreto legislativo di moratoria delle procedure di localizzazione per gli impianti infatti non comprende quelle di un sito di stoccaggio, da individuare secondo le norme Ue entro il 2015. Fabio Callori, sindaco di Caorso e presidente della Consulta Anci dei Comuni sede di servitù nucleari, ha ribadito di recente la disponibilità alla collaborazione, ”soprattutto sul nuovo deposito, affinché venga al più presto individuato il sito e realizzato” .

”I nostri territori – ha affermato Callori – ‘ospitano’ da oltre 25 anni, i materiali e i rifiuti radioattivi e quelli che sono stati inviati all’estero per essere condizionati o trattati, presto torneranno nel nostro Paese. Se non saremo pronti con il nuovo deposito, questi materiali torneranno sui territori che ospitano i vecchi siti”.

La società incaricata della gestione dei rifiuti radioattivi in Italia, la Sogin, ha proposto di ospitare in un unico luogo, da scegliere fra una cinquantina di aree possibili, tutti i rifiuti di prima e seconda categoria, e soltanto temporaneamente quelli di terza categoria. Su questo fronte è attesa una decisione della neonata Agenzia per la sicurezza nucleare, responsabile del dossier per l’individuazione dell’area del deposito per raccogliere le scorie radioattive, la sorveglianza e il monitoraggio.

La proposta della Commissione europea di interrarre le scorie radioattive, in depositi geologici profondi, secondo Greenpeace presenta una serie di rischi, dovuti semplicemente alla mancanza di conoscenze adeguate. In un rapporto, gli ambientalisti criticano infatti l’idea di una barriera ”naturale” che possa resistere per tempi così lunghi come quelli dei rifiuti del nucleare, perché le basi scientifiche e l’esperienza concreta di una soluzione del genere sono ancora scarse.

Secondo il rapporto, c’è il rischio che avvengano incidenti di vario genere che potrebbero portare ad un rilascio di sostanze radioattive nelle falde acquifere o in mare, per secoli. Le ipotesi possibili sono varie: si va dalla corrosione accelerata dei sistemi di contenimento allo sviluppo di gas e surriscaldamento con cedimento della camera di stoccaggio. Un altro rischio è quello di possibili reazioni chimiche inattese, oppure di incertezze sulle caratteristiche geologiche del sito, senza dimenticare possibili terremoti e interferenze umane.

Anche se i modelli informatici che analizzano questi fenomeni sono diventati sempre più sofisticati, rimangono delle difficoltà nel determinare processi complessi, inclusi effetti di calore, deformazione meccanica, microbi e flusso di acqua o gas nelle fratture della roccia, per un arco di tempo tanto lungo. In particolare, una maggiore comprensione delle reazioni chimiche viene considerato ”essenziale” per valutare l’idoneita’ di un sito, così come l’opportunità di usare rame, acciaio o bentonite come materiali di contenimento delle sostanze radioattive, per comprendere lo sviluppo di meccanismi di corrosione e gli effetti di calore e radiazioni.

La proposta della Commissione europea di interrarre le scorie radioattive, in depositi geologici profondi, secondo Greenpeace presenta una serie di rischi, dovuti semplicemente alla mancanza di conoscenze adeguate. In un rapporto, gli ambientalisti criticano infatti l’idea di una barriera ”naturale” che possa resistere per tempi cosi’ lunghi come quelli dei rifiuti del nucleare, perche’ le basi scientifiche e l’esperienza concreta di una soluzione del genere sono ancora scarse.

Secondo il rapporto, c’è il rischio che avvengano incidenti di vario genere che potrebbero portare ad un rilascio di sostanze radioattive nelle falde acquifere o in mare, per secoli. Le ipotesi possibili sono varie: si va dalla corrosione accelerata dei sistemi di contenimento allo sviluppo di gas e surriscaldamento con cedimento della camera di stoccaggio. Un altro rischio è quello di possibili reazioni chimiche inattese, oppure di incertezze sulle caratteristiche geologiche del sito, senza dimenticare possibili terremoti e interferenze umane. Anche se i modelli informatici che analizzano questi fenomeni sono diventati sempre piu’ sofisticati, rimangono delle difficoltà nel determinare processi complessi, inclusi effetti di calore, deformazione meccanica, microbi e flusso di acqua o gas nelle fratture della roccia, per un arco di tempo tanto lungo. In particolare, una maggiore comprensione delle reazioni chimiche viene considerato ”essenziale” per valutare l’idoneità di un sito, così come l’opportunità di usare rame, acciaio o bentonite come materiali di contenimento delle sostanze radioattive, per comprendere lo sviluppo di meccanismi di corrosione e gli effetti di calore e radiazioni.