Agenda Digitale, che fine ha fatto? Ignorata da tutti: poche idee nei programmi

di Daniela Lauria
Pubblicato il 22 Gennaio 2013 - 09:26 OLTRE 6 MESI FA
Agenda Digitale, che fine ha fatto? Ignorata da tutti: poche idee nei programmi

ROMA – Che fine ha fatto l’Agenda Digitale? Archiviato il capitolo liste elettorali è tempo di snocciolare i programmi. Ma scorrendo i siti dei principali partiti e movimenti politici già saltano all’occhio i Grandi Assenti: tra i temi che più latitano c’è la famosa Agenda Digitale e il rischio è di vanificare gli sforzi profusi dal governo dei professori nel decreto Sviluppo-bis, approvato in extremis. A denunciare le mancanze è l’Osservatorio del Politecnico di Milano che confida in una maggiore presa di coscienza della politica a un mese dall’appuntamento elettorale.

L’Agenda Digitale, in quanto massima declinazione dell’innovazione, dovrebbe essere fiore all’occhiello di ogni programma che si rispetti, ma ad oggi è sostanzialmente ignorata dai partiti. I ricercatori del Politecnico hanno fatto i conti per la politica: con l’innovazione digitale si potrebbe garantire un risparmio di 19 miliardi di euro entro il 2013 e incoraggiare una crescita del Pil fino all’1,30%. Basti pensare che una decisa spinta verso la fatturazione elettronica, invece che cartacea, potrebbe portare a oltre 10 miliardi di risparmi per le imprese, con un impatto notevole in termini di produttività e competitività. E ancora: un’adozione più massiccia degli strumenti di e-procurement (tecnologie digitali a supporto degli acquisti) nella pubblica amministrazione porterebbe a un risparmio di 7 miliardi di euro l’anno per le casse dello Stato. Così come un utilizzo sapiente delle tecnologie digitali potrebbe portare a maggiori entrate fiscali per 15 miliardi di euro all’anno.

Ma che fine ha fatto l’Agenda Digitale? Nel fermento dei dibattiti pre-elettorali l’innovazione digitale ha scarso appeal: assoggettati alle regole stringenti della par condicio i leader politici preferiscono utilizzare lo spazio mediatico a disposizione per parlare di tasse, Imu, patrimoniale, nuovo redditometro. Spiega Andrea Rangone, responsabile dell’Osservatorio ad hoc del Politecnico: “Se solo il 50% degli italiani ha accesso alla Rete significa che molti sono lontani anni luce dal digitale. Così i partiti s’inseguono su temi che ritengono più funzionali al loro elettorato di riferimento”.

Tra tutti i contendenti al voto del 24 febbraio, sembrano avere a cuore l’Agenda Digitale, solamente la Scelta Civica di Mario Monti e il Movimento 5 Stelle.

Nella sua Agenda presentata a dicembre, probabilmente per continuità col lavoro tecnico fin qui svolto, Monti dedica un accenno alla questione, in pochi punti essenziali e facilmente condivisibili che non offrono però soluzioni: si parla di digitalizzazione della P.A., digital divide e banda larga, smart city, open data, cloud computing. Ma la domanda che sorge spontanea è: come credere a un impegno concreto su smart city e open data quando taglio dei costi e spending review sembrano avere la meglio su qualsiasi spinta all’innovazione? Come far migrare verso soluzioni di cloud computing pachidermiche infrastrutture statali?

Lo stesso dicasi per il MoVimento capitanato da Beppe Grillo, che della rete ha fatto il suo canale privilegiato, dando forse per scontata la sensibilità a certi temi del proprio elettorato. Fabio Savelli, giornalista del Corriere della Sera, osserva che: “Qui si fa sentire l’impronta del guru Casaleggio, ma d’altronde è l’unico davvero virtuale, nato dalla Rete e per volontà della Rete: basterà per portare la banda larga a tutti?”

“Fare per fermare il declino” di Oscar Giannino, si spende in una sola riga, in cui esprime la volontà di estendere il “processo telematico con sistemi di incentivi per i tribunali”. Mentre Futuro e Libertà e l’Udc, alleati di Monti, non spendono nemmeno una parola sul tema. Nemmeno Rivoluzione Civile di Antonio Ingroia e la Lega Nord ci si soffermano, puntando piuttosto sulle loro peculiarità: legalità il primo, autosufficienza del Nord i secondi.