Aldo Grasso contro Fazio e il suo “opportunismo di scena”

Pubblicato il 13 Novembre 2010 - 14:19 OLTRE 6 MESI FA

Aldo Grasso sul Corriere della Sera perla di Fabio Fazio e della sua nuova trasmissione “Vieni via con me”, alla luce delle recenti polemiche sulla patecipazione al programma di Fini e Bersani.

Per il ceto medio riflessivo può essere il nuovo Michele Santoro. È Fabio Fazio e, confortato dal successo della prima puntata, ha deciso di invitare Gianfranco Fini e Pier Luigi Bersani al prossimo appuntamento di «Vieni via con me» per dare una spallata a Berlusconi. Il ceto medio riflessivo ha il suo nuovo Michele Santoro. Si chiama Fabio Fazio. Confortato dal successo della prima puntata, rincuorato dalla reale difficoltà in cui si trova il premier, incoraggiato da Loris Mazzetti, capostruttura di Raitre responsabile del programma (è capace di pensare la tv solo in termini ideologici, esattamente come Antonio Marano e Mauro Masi), Fazio ha deciso di invitare Gianfranco Fini e Pier Luigi Bersani alla prossima puntata di Vieni via con me. Staremo a vedere, ma il rischio che il programma prenda una connotazione tutta politica, tale da stravolgerne la natura, almeno così come ci era stato presentata, è forte.

Adesso, per aggirare l’ipocrita legge della Rai che vieta la presenza dei politici in certi programmi si risponde con un’altra ipocrisia: Vieni via con me è un programma di approfondimento culturale e non un varietà, esattamente come Che tempo che fa. A parte il fatto che ci sarebbe molto da discutere tra la promozione culturale (ogni opera presentata da Fazio è un capolavoro, mai sentita una qualsiasi obiezione) e cultura, resta il fatto che è imbarazzante vedere Don Abbondio vestire i panni di Don Rodrigo. Nessuno vuole censurare nessuno: vadano Fini, Bersani e tutti quelli che gli autori decideranno di invitare; del resto abbiamo una Rai così politicizzata e così pesantemente squilibrata che è difficile scorgere le pagliuzze negli occhi degli altri. Un solo favore: risparmiateci la manfrina del programma culturale e ripensate alla promessa del «nuovo» che Roberto Saviano avrebbe dovuto mostrarci.