L’assalto al politico, da Franceschini a Berlusconi: urla, inseguimenti, minacce

di Emiliano Condò
Pubblicato il 22 Aprile 2013 - 12:38| Aggiornato il 7 Febbraio 2023 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Le monetine sono rimaste nel portafogli, forse causa crisi. Ma per il resto è successo di tutto: urla, inseguimenti, insulti, qualche minaccia. L’assalto al politico davanti ai palazzi del potere è cominciato. Non al politico di destra o di sinistra, al politico in quanto tale, in quanto casta. Al politico punto. E’ toccato a politici di primo piano come a politici sconosciuti, a debuttanti del Palazzo come a professionisti navigati. Bastava essere là per lavoro per beccarsi gli insulti.

Sabato 20aprile. Giorgio Napolitano è presidente da poche ore e una delle giornate più lunghe del Partito Democratico è appena finita.  Dario Franceschini crede che sia finita anche per lui, ma si sbaglia. E’ seduto in un ristorante e il suo errore, se ce n’è uno, è di averlo scelto non lontano da Montecitorio dove la piazza ribolle anche perché qualcuno ha detto che l’elezione di un Presidente della Repubblica è un golpe. Qualche passante individua Franceschini dall’esterno del locale. Non è difficile, il look con barba lo rende riconoscibile da lontano.

Si forma un capannello, qualcuno entra nel ristorante perché la tentazione  di insultare da vicino è evidentemente irresistibile. “Venduto, infame, li mortacci tua” l’elenco delle “carinerie” dette all’esponente del Pd. Che non si scompone più di tanto e dice ai contestatori che ci sono altre persone nel ristorante che stanno mangiando e che nulla c’entrano con la questione Rodotà-Napolitano.  Tutto finisce con un dito medio piantato a un centimetro dalla faccia di Franceschini. Perché il vaffa sia espresso in tutti i modi, a voce e con il corpo.

Sabato 20 aprile, poche ore prima. Pietro Grasso e Laura Boldrini, due facce nuove della legislatura, freschi di elezione alle presidenze di Senato e Camera, arrivano a Montecitorio. Li aspettano i contestatori che se la prendono anche con loro. Per quale “colpa” forse neppure se lo chiedono. Restano le urla. Le stesse urla che nello stesso giorno toccano a Roberto Formigoni, di tutt’altra area politica, ma insultato da chi manifesta in piazza. Formigoni fa spallucce: stesso identico trattamento gli era toccato anche il giorno prima.

Venerdì urla anche contro Renato Brunetta e Maurizio Gasparri che individua subito il mandante nella “violenza di Grillo”. Per Gasparri 21 anni dopo è un capovolgimento della realtà. Nel 1992 era tra i signori che tiravano le monetine contro il “ladrone” Bettino Craxi. Ventuno anni dopo le monetine no, ma gli insulti arrivano forte e chiaro. Lui,  va detto, per calmare gli animi non ci mette esattamente del suo. Su Twitter il giorno del corteo M5S definisce i manifestanti “fessi che difendono la super casta”. Riferimento a Stefano Rodotà e alla sua pensione.

Poi c’è Silvio Berlusconi, uno che senza codazzo di contestatori e claque non si muove quasi mai. Giovedì parla a Udine e gli urlano buffone. Venerdì entra in Parlamento e gli urlano buffone. Ripetitivi e forse neppure troppo minacciosi per uno che si è preso in faccia una statuetta del Duomo di Milano.

Ma il “dagli al politico” non risparmia nessuno. Sotto choc Stefano Fassina che spiega: “Nemmeno tra gli operai disperati ho trovato tanta rabbia e tanta aggressività”. Carlo Giovanardi, invece, è stato insultato mentre dalla Camera cercava di raggiungere il suo ufficio in Senato. E anche lui se la prende con Grillo e la sua “cultura fascista”. Chissà se Gasparri è d’accordo. Stesso destino, le urla e gli insulti,  tocca  un “giovane turco”, Matteo Orfini. 

Ma l’elenco dei politici braccati comprende anche Rocco Buttiglione e Pippo Civati, ovvero uno che nel Pd Stefano Rodotà voleva votarlo. Non è questione di posizione o di candidato, è questione di essere politici e quindi “Casta”. Basta individuare una sagoma riconoscibile e l’assalto parte. Berlusconi o Civati che sia, senza nessuna differenza.

“E’ difficile – scrive su Repubblica Sebastiano Messina – davvero difficile, non tornare con la memoria a quel 30 aprile di 20 anni fa, a quella folla che davanti al Raphael urlava “lurido ladro” a Bettino Craxi, che gli tirava contro manciate di monetine. Ma sarebbe un errore pensare che oggi stiamo vivendo la seconda parte della storia, perché non è così. E se è vero che anche allora i politici anche solo lambiti dal ciclone di Tangentopoli venivano scansati come appestati (…) tra l’Italia del 1993 e quella del 2013 c’è una fondamentale differenza. Perché oggi non c’è nessuna regola dietro le contestazioni dei politici. Allora quasi nulla accadeva per caso (…). Oggi nessuno guida o teorizza ua rivolta contro i politici, nemmeno Grillo che urla “vaffanculo” a tutti”