Banconote, bonifici, incontri, verbali, affidi: cinque prove per il processo Berlusconi-Ruby
MILANO – Abbiamo la memoria labile, meglio prendere appunti. Appuntarsi quelle che sono le prove, quel che è provato, quel che vale un processo anche se non scrive una condanna.
Prova numero uno: la telefonata, anzi le telefonate di Berlusconi alla Questura di Milano nella notte del 27 maggio. Sono trascritte nelle “relazioni di servizio”. E’ provato che chiamò, chiese di lasciare andare Ruby, richiamò per essere certo che Ruby fosse stata rilasciata, nonostante l’accusa di furto e la sua condizione di minorenne. E’ provato sapesse che Ruby era lì perché minorenne, altrimenti non avrebbe suggerito “l’affido” alla Minetti.
Prova numero due: nessuno chiamò diplomatici egiziani e a nessun egiziano fu consegnata la “nipote di Mubarak”. La Questura sapeva che Ruby non era tale e anche Berlusconi lo sapeva altrimenti non sarebbe stato soddisfatto e tranquillo della circostanza, da lui appurata e approvata per cui la “nipote di Mubarak” era stata affidata per un minuto alla Minetti e poi alla brasialiana Michelle/Conceicao, quella con cui nei giorni successivi Ruby litigò fini a far intervenire le volanti della polizia.
Prova numero tre: le visite, le notti di Ruby ad Arcore e le telefonate tra Ruby e Berlusconi. Almeno tredici le prime e una settantina le seconde. Provano una frequentazione assidua e non un incontro casuale ed episodico.
Prova numero quattro: i contanti, le banconote da 500 euro trovate a Ruby in una perquisizione, le banconote, quelle e per quell’importo versato da Giuseppe Spinelli, ragioniere di Berlusconi, alla ragazza marocchina.
Prova numero cinque: i bonifici bancari alle ragazze di Via Olgettina. Partono dal conto bancario gestito da Spinelli e corrispondono alla presenza delle beneficiarie alla “serate eleganti” di Arcore.
Poi ci sono le intercettazioni, le tre testimonianze di accusa, quelle della difesa… ma dimentichiamo intercettazioni e testimonianze. Avranno il loro peso nella loro sede, il processo. Però appuntiamoci le prove, prima che spariscano nella memoria e nel “rito lunghissimo” cui governo e Parlamento sottoporranno il processo.