Azzeccagarbugli Berlusconi: “Solo un incidente, o me o voto anticipato”

di Warsamé Dini Casali
Pubblicato il 13 Ottobre 2011 - 11:57 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Diciotto minuti per chiedere un nuovo voto di fiducia, per discettare di formalismi giuridici, per ribadire che senza di lui non c’è alternativa, per liquidare con un paio di battute l’assenza dell’opposizione in Aula. Berlusconi ha parlato un po’ più dei dieci minuti previsti. La premessa del premier è tutta dedicata a spiegare perché la bocciatura dell’articolo 1 del Rendiconto di Bilancio è solo un fatto formale, mentre, questa nuova richiesta di fiducia va derubricata tra gli atti dovuti. Quindi, piccole variazioni sul testo a parte, e fatte salve le cifre che restano le stesse, verrà ripresentato tale e quale al Senato. C’è differenza tra Rendiconto e leggi di bilancio: il Governo non è sfiduciato, ai sensi dell’articolo 81 della Costituzione. Il Parlamento conferisce una copertura legislativa, l’equiparazione tra leggi di bilancio e rendiconto è una forzatura dell’opposizione. Incidente era, incidente rimane.

Smessa la toga da azzeccagarbugli improvvisato, si rivede il Berlusconi classico. “Siamo l’unico soggetto democraticamente abilitato”, dice il premier tra gli applausi. Per tre motivi. Dopo essersi complimentato con il Presidente della Repubblica, espone il primo: non esiste un governo diverso dall’indicazione del popolo. Se non votate per me si va al voto. Il bipolarismo protegge la stabilità degli esecutivi: un concetto democratico avallato dalla prassi costituzionale. E’ finita l’epoca dei capi partito che facevano e disfacevano esecutivi, contro la volontà degli elettori. Il secondo motivo è che un’opposizione non c’è, anzi, è sparita. In effetti in Aula ci sono solo volti amici: che altri rappresentanti del popolo, quello che non si riconosce in lui, non siano presenti sollecita al massimo una battuta. Disattende la mobilitazione aventiniana solo la pattuglia radicale, applausi anche per loro. Terzo motivo per accordargli la fiducia, è impedire che il partito della speculazione si mangi il Paese. Il suo governo, inoltre, è l’unico baluardo contro la strategia del pessimismo e della paralisi. “Io sono qui, non cedo agli sfascisti e ai lapidatori di capri espiatori, dico no ai patiboli di carta”.

Segue una ricognizione dei problemi della finanza mondiale, della necessità che l’Europa non sia solo un grande corpo economico con una piccola testa politica. Ripete le grandi questioni irrisolte che frenano la crescita italiana, debito, pesantezza burocratica, mancanza di infrastrutture all’altezza dei tempi, giustizia civile lenta. Della giustizia penale non parla, “per carità di Patria”.  Offre una via di uscita citando le molte riforme in cantiere, fisco, architettura istituzionale, giustizia. Sul decreto sviluppo assicura che si farà. Non precisa se grazie a un Tremonti costretto a più miti consigli, oppure spostando risorse da un capitolo di spesa all’altro, e con quali cifre, quali coperture. Sarà un decreto sviluppo a costo zero? Si toccheranno le pensioni? S’imporra una patrimoniale? Non una parola. Si vede Bossi sbadigliare con entusiasmo, l’accenno al Senato federale gli basta. E’ già tempo di saluti, di ricevere applausi. Appuntamento a domani. Ultimo pensiero dedicato agli oppositori assenti: “Non mi fate perdere tempo”.