“Orchidea? Orcho…!”. L’ultima barzelletta di Berlusconi leader del “cattivismo incontinente”

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 1 Ottobre 2010 - 14:38| Aggiornato il 2 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Un signore di una certa età, ben vestito e attorniato da gente amichevole che lo ascolta volentieri, parla ad un gruppo di militari (video) e cerca nel suo repertorio una storiella che gli pare adatta all’uditorio in divisa: “C’è una festa a tema floreale, le ragazze vogliono ballare e si propongono appunto con il nome di un fiore. Se il ragazzo vuole fare coppia, allora risponde con il nome dello stesso fiore ma declinandolo al maschile. Arriva Margherita e un ragazzo risponde Margherito. Arriva Rosa e l’invitato alla danza risponde Roso. Compare a sorpresa Rosy Bindi e dice Orchidea. Il ragazzo a cui è toccata risponde Orchod…”. I puntini sospensivi al posto della risposta integrale del militare inorridito dalla prospettiva di ballare con la Bindi sono posticci, fanno parte del resoconto scritto. Nella versione originale, un video pubblicato dal sito de L’Espresso, l’audio è pieno come piena è l’espressione, la parola che finisce con “dio” al posto di “dea”. E piena è la risata generale e rotonda e festosa dei militari e del signore divertente che li diverte. Il signore in questione è il presidente del Consiglio, il luogo è L’Aquila, il tempo è quello del G8.

Un signore che fa il senatore interviene appunto in Senato durante l’ultimo dibattito sulla fiducia. Cerca nella sua oratoria e nella sua cultura un modo efficace per dare a Fini del traditore e lo trova con la domanda retorica: “Ha già ordinato la kippah?”. La kippah, cioè il copricapo degli ebrei. Quel signore-senatore per cui ebreo vuol dire dalla nostte dei tempi traditore è Giuseppe Ciarrapico, un signore per cui Giuda Iscariota è l’ideal-tipo di ogni ebreo.

Su Facebook un insegnante di musica milanese, incidentalmente simpatizzante della Lega, cerca un’espressione brillante per dire che nelle scuole ci sono troppi handicapati o troppa attenzione agli handicappati. Cerca nella sua cultura e la trova l’espressione, la frase: “Bisognerebbe tornare alla rupe Tarpea“. Quella da cui si buttavano giù i traditori, ma l’insegnante in questione non lo sa e, dio come la scuola è caduta in basso, lui confonde Roma con Sparta e ritiene che invece si buttassero i non perfetti e non normali.

Su La Stampa c’è la recensione dell’ultimo libro di Giampaolo Pansa dal titolo “I Vinti non dimenticano”. Pansa scrive tra l’altro: “Emerge il connotato primario della lotta partigiana, il suo Dna: il terrorismo…I killer delle Br si consideravano gli eredi dei terroristi comunisti della guerra civile. E con ragione, penso io”.

Sempre su La Stampa in prima pagina Massimo Gramellini scrive: “Con il tricolore bisogna pulirsi il sedere, il Risorgimento fu un complotto dei poteri forti, la Resistenza non parliamone, la Costituzione è comunista, Roma è porca e ladrona, gli ebrei tradiscono, i rom attaccano il malocchio. Non so voi ma io non lo trovo divertente. Qualcuno dirà che certa gente ha sempre pensato certe cose, senza trovare il coraggio di dirle. Ecco, vorrei tanto sapere che glielo ha dato, adesso, quel coraggio”.

Lo stesso giorno su Repubblica Michele Serra scrive: “Sono saltati come vecchi tappi tutti gli argini, ha prevalso l’idea che niente possa essere rimosso o occultato. Schiodati dalle loro prigioni di profondità, sono emersi a uno a uno gli istinti più asociali, aggressivi e scorretti…La moda culturale egemone è lo spregio del buonismo. Come conseguenza ogni fanatico ma anche ogni debole e ogni rancoroso si sente in diritto di esternare. E’ il cattivismo che fa di molte miserie umane altrettante bandiere”.

Non è un caso se nello stesso giorno Gramellini e Serra scrivono della stessa cosa, dello stesso fenomeno che si può riassumere della forma del “cattivismo incontinente”. Scrivono della stessa cosa non per fortuita coincidenza ma per stretta attinenza alla cronaca: quotidiano e ubiquo è infatti il “cattivismo incontinente”. Incontinente e senza il “pannolone”, senza lo straccio di una competenza sia pur vaga e orecchiata, sia essa storiografica, religiosa, sanitaria, pedagogica, giuridica, statistica. Non c’è nessuno straccio ad assorbire l’incontinenza che viene dalle viscere. C’è anzi l’orgoglio coprofilo di farla grossa. Chiamarlo “cattivismo” è in fondo una cortesia, un residuo di “buonismo” in chi così cataloga così il fenomeno. Si può essere cattivi senza essere ignoranti.

E si può essere dignitosamente ignoranti senza bearsi e rotolarsi felici nella propria ignoranza. Ma difficilmente, quasi mai, si è ignoranti e fieri della propria ignoranza senza essere violenti. E sempre, proprio sempre, il violento ignorante mentre esercita violenza ride e si aspetta che gli altri ridano con lui.