Berlusconi come Craxi? Stesso discorso, stesso percorso

di Redazione Blitz
Pubblicato il 20 Agosto 2013 - 11:19| Aggiornato il 6 Marzo 2015 OLTRE 6 MESI FA
Berlusconi come Craxi? Stesso discorso, stesso percorso

Bettino Craxi e Silvio Berlusconi in una foto del 1985 (LaPresse)

ROMA – Silvio Berlusconi come Bettino Craxi? Se prima del voto che al Senato deciderà se espellerlo dal Parlamento – in quanto condannato in via definitiva – pronuncerà un discorso che sarà in pratica una lunga arringa contro i giudici, ripercorrerà le orme di Craxi venti anni dopo, e la fine della Prima Repubblica avrà troppi tratti in comune con la crisi della Seconda Repubblica. Scrive Antonio Polito in un fondo sul Corriere della Sera:

“non sarà una buona notizia per l’Italia, perché la Storia non dovrebbe mai ripetersi. Una democrazia che vive per due volte in vent’anni il trauma di un collasso politico per via giudiziaria è infatti certamente malata.

Fu proprio un discorso alla Camera di Bettino Craxi a mettere una pietra tombale sull’assetto politico del Dopoguerra. E non mi riferisco a quello più celebre del 3 luglio del 1992, molto evocato in questi giorni, in cui il leader del Psi, ancora solo sfiorato dalle inchieste su Tangentopoli, usò il dibattito sulla fiducia al primo governo Amato per una formidabile chiamata di correo a tutti partiti sul finanziamento illegale: «Se gran parte di questa materia deve essere considerata puramente criminale, allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale. Non credo che ci sia nessuno in quest’Aula che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo». Nessuno si alzò. Ma nessuno ebbe neanche il coraggio di riconoscere che si trattava di un problema politico, da risolvere politicamente. Tutti sperarono che la campana suonasse solo per Craxi. E le cose andarono diversamente”.

Il discorso al quale Polito fa riferimento è quello del 29 aprile 1993. Non era l’inizio della valanga ma la fine, non era per Craxi il momento del dispiacere per la mancata nomina a premier, ma di lì a poco sarebbe stato quello dell’onta della pioggia di monetine al Raphael. In quel discorso, l’ultimo del leader socialista in un aula parlamentare, Craxi non chiedeva – come 11 mesi prima – la fiducia al governo Amato, ma il “no” alla richiesta di autorizzazione a procedere dei pm di Milano contro di lui:

“Fu infatti un attacco ad alzo zero contro i pm di Milano. Una requisitoria contro gli «arresti illeciti, facili, collettivi, spettacolari e perfino capricciosi… le detenzioni illegali che fanno impallidire la civiltà dell’habeas corpus… le violazioni sistematiche del segreto istruttorio… la giustizia che funziona ad orologeria politica… il teorema… le inchieste su di me, sulle mie proprietà, sui miei figli, sui miei amici… ». È difficile che , per quanto possa essere originale, Berlusconi riuscirà a fare di meglio: frasi e giudizi di quel discorso sono da allora diventati il canovaccio di ogni polemica sull’«uso politico della giustizia», per usare il titolo del libro di un altro socialista, Fabrizio Cicchitto, cui si dice che Berlusconi si stia ispirando in queste ore.

Ma è anche impressionante che l’uomo che conquistò l’Italia sull’onda di Tangentopoli e della crisi del debito pubblico del ’92, chiamandola alla rivolta contro i vecchi partiti incapaci e corrotti, rischi ora di uscire di scena sconfitto sugli stessi fronti, i processi e i mercati, come se in questo ventennio di dominio elettorale non fosse riuscito a cambiare neanche una virgola dell’equazione politica nostrana”.

Craxi ottenne – nell’immediato – quello che voleva: il Parlamento disse no ai pm di Milano. Però poi le cose precipitarono: la sera dopo piovvero le monetine al Raphael, il governo Ciampi entrò in crisi e navigò a vista fino alle elezioni anticipate del 1994, Craxi si dimise da segretario del Psi, perse con la mancata rielezione l’immunità parlamentare, fuggì ad Hammamet.

Polito fa notare come Berlusconi, a differenza di Craxi, conti ancora sul sostegno di una fetta consistente dell’opinione pubblica. Che potrebbe sostenerlo in un’ultima, disperata battaglia elettorale tutta incentrata sui suoi guai giudiziari – con la crisi economica e i grandi problemi dell’Italia in secondo piano. Ma l’altra differenza con Craxi non gioca a favore di Berlusconi:

“Soprattutto, la strategia di Berlusconi non può contemplare l’espatrio come extrema ratio. Non glielo consente la vastità degli interessi che sarebbe costretto a lasciarsi indietro, abbandonati a una sorte incerta: le aziende, i figli, le case, un partito. Senza contare che, a differenza di Craxi quando varcò il confine, Berlusconi non ha più il passaporto“.