Fini a Berlusconi: “Ora basta, vado da solo”. Pdl sull’orlo della rottura. Il premier: “48 ore per rispondere”

Pubblicato il 15 Aprile 2010 - 16:50 OLTRE 6 MESI FA

Tanto tuonò tra Berlusconi e Fini che, all’ultima puntata del duello tra i due, piovve, eccome se piovve. Il Pdl di cui Berlusconi e Fini sono “cofondatori” è ad un passo dalla rottura. Rottura chiaramente minacciata da Fini: “Sono pronto a formare gruppi parlamentari autonomi“. Perché? Perché “governo e Parlamento sono al traino della Lega”. Chiaro, esplicito, durissimo, quasi disperato il tono e il senso della scelta politica di Fini. Drastico anche se non proprio definitivo, perché Fini a Berlusconi ha chiesto di rimuovere e modificare questa sudditanza del Pdl, del governo e della maggioranza nei confronti di Bossi. E Berlusconi ha replicato con la freddissima ma non ultimativa contro proposta: 48 ore per decidere. Poi ha condito l’attesa con una minaccia: “Se fai gruppi autonomi in Parlamento, allora lasci la presidenza della Camera”.

Berlusconi – è stata la successiva, più “morbida” dichiarazione di Fini – deve governare fino al termine della legislatura perché così hanno voluto gli italiani. Il Pdl, che ho contribuito a fondare, è lo strumento essenziale perché ciò avvenga. Pertanto il Pdl va rafforzato, non certo indebolito. Ciò significa scelte organizzative ma soprattutto ciò presuppone che il Pdl abbia piena coscienza di essere un grande partito nazionale, attento alla coesione sociale dell’intero Paese, capace di dare risposte convincenti ai bisogni economici del mondo del lavoro e delle famiglie, garante della legalità e dei diritti civili, motore di riforme istituzionali equilibrate e quanto più possibile condivise. Ho rappresentato tutto ciò al Presidente Berlusconi”.

All'”ammorbidimento” di Fini segue, nella stessa direzione, una smentita del Pdl: fonti della maggioranza riferiscono che il presidente Berlusconi non ha mai invitato il presidente Fini a lasciare la presidenza della Camera.

Berlusconi comunque conterà i suoi e consulterà Bossi. Prima di tutto conterà, perché non ha voglia di una battaglia che comunque lo indebolisce in termini di immagine e di sostanza, però è tentato di cavarsi una volta per tute il “dente Fini”. Conterà i parlamentari che stanno con lui e , se vedrà che quelli disposti ad andare con Fini sono solo pattuglia, allora proverà a mettere Fini all’angolo, anzi a dargli il colpo definitivo. Il presidente del Senato Schifani, di solito prudente nelle sue dichiarazioni, ha detto però che “quando una maggioranza si divide non resta che dare la parola agli elettori”.

I tre coordinatori nazionali del Pdl, Ignazio La Russa, Denis Verdini e Sandro Bondi hanno raggiunto Palazzo Grazioli, insieme al ministro della Giustizia, Angelino Alfano.

Anche Fini deve aver fatto di conto prima di muovere il suo ultimatum: si è parlato a lungo di circa 40 parlamentari pronti a seguire Fini. Secondo fonti “finiane” i deputati che vi aderirebbero sarebbero 50 e 18 i senatori. Se così fosse, se fossero davvero tanti oggi e anche domani dopo lo scontro aperto con Berlusconi, allora sarà Berlusconi a dover cedere. Con quaranta/cinquanta parlamentari con Fini, la maggioranza del Pdl che pure resta con Berlusconi e la Lega non può “tenere” e governare il Parlamento, non ce la fa a fare la legge sulle intercettazioni, quelle sulla giustizia, il “lodo” finale per il premier. Figurarsi le riforme della Costituzione.

Italo Bocchino, Carmelo Briguglio, Andrea Ronchi, Flavia Perina, Roberto Menia, Giulia Bongiorno, Enzo Raisi, Amedeo Laboccetta, Adolfo Urso, Pasquale Viespoli, Alessandro Ruben. Sono alcuni dei ‘finiani’ di stretta osservanza che, immediatamente dopo il teso vertice tra Berlusconi e Fini negli appartamenti del presidente della Camera a Montecitorio, si sono riuniti nello studio di Fini. Si è ad un punto di non ritorno, dopo che il presidente della Camera ha annunciato al premier di essere pronto a costituire gruppi autonomi alla Camera? “Di fronte a risposte negative ai problemi politici posti da Fini sì”, spiega Italo Bocchino. I numeri minimi per costituire gruppo sono di venti deputati alla Camera e dieci senatori a Palazzo Madama. E stando alla conta che in queste ore i finiani vanno svolgendo, si può toccare la soglia. Difficile non definire “finiani” esponenti della vecchia Alleanza Nazionale come Donato Lamorte, Francesco Proietti, Angela Napoli, Silvano Moffa, Riccardo Migliori, Mirko Tremaglia, Basilio Catanoso, Giuseppe Scalia, Antonino Lo Presti. O nuovi finiani come Gianfranco Paglia o Fabio Granata. Alla Camera già così si supera il numero di venti. Al Senato, per fare gruppo servono dieci senatori. E come finiani possono essere reclutati Pasquale Viespoli, Filippo Berselli, Luigi Ramponi, Pierfrancesco Gamba, Laura Allegrini, Antonino Caruso, Giuseppe Valentino, Mario Baldassarri, Domenico Gramazio, Domenico Benedetti Valentini, Vincenzo Nespoli. Anche al Senato la soglia dei dieci è superata.

La ‘extrema ratio’ di un gruppo autonomo del presidente della Camera Gianfranco Fini – posta da Fini a Berlusconi come concreto sviluppo se non arriveranno risposte politiche alle sue richieste durante il teso vertice di oggi – è da giorni nei pensieri dei finiani che hanno già in mente un nome per la nuova componente parlamentare: Pdl-Italia.

Sono ore davvero severe per il centro destra italiano. A Fini era sempre stato rimproverato di criticare senza agire e rischiare. Ora lo ha fatto, mettendo in gioco tutto. Berlusconi non aveva mai conosciuto e neanche immaginato un’alternativa reale dentro il centro destra. Bossi dovrà decidere se vuole il federalismo subito rinunciando a un po’ del potere che reclama, oppure se vuol rischiare che il banco salti. Perché in questo incredibile paese la storia potrebbe anche finire ad elezioni anticipate. E’ l’habitat che Berlusconi conosce meglio, quello dove d’istinto si muove.