Fiducia degli italiani: Tremonti al 54,5%, Berlusconi doppiato, muore d’invidia

Pubblicato il 28 Giugno 2011 - 12:37 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – L’insonnia di Berlusconi ha una spiegazione finalmente plausibile. Il suo ministro dell’Economia Tremonti è così popolare presso l’opinione pubblica italiana da averlo letteralmente surclassato. Il recente sondaggio Demos, confezionato da Ilvo Diamanti sulla fiducia degli italiani nei leader politici, ci consegna l’immagine di un premier in tale difficoltà da essere addirittura più che doppiato dal suo ministro. Il suo sottoposto, quello da cui rifiuta di prender ordini, lo ha battuto con un 54,5%  che umilia il suo stentatissimo 25,6%. Per un uomo abituato a far colazione con latte e sondaggi, quello di lunedì 27 giugno, deve esser stato il più drammatico risveglio della sua vita da numero uno. Non che non lo sapesse, ma vedere quella sproporzione, quel divario abissale stampato nero su bianco, deve essere stato davvero un brutto colpo. Adesso muore d’invidia e non piglia più sonno: altro che donnine o bunga-bunga.

Finora il suo tratto caratteriale più discusso era una eccessiva considerazione di sé. Berlusconi, per le folle adoranti e per la corte inchinata, rappresentava il prototipo dell’uomo che, fidandosi ciecamente delle proprie capacità, raggiunge il meritato successo. Da cui l’invidia dei suoi astiosi oppositori. I quali, da parte loro, lo hanno sempre considerato un narciso incorreggibile, un uomo talmente borioso e pieno di sé da superare ogni record di sconfinamento del senso del ridicolo. Eppure, le cose non restano immutabili per sempre, succede addirittura che si ribaltino o cambino direzione. O che uno con ancora più innamorato di se stesso ti faccia le scarpe.

Non era certo una sorpresa la china discendente, o trend come dice il sondaggista, che vedeva Berlusconi costantemente in affanno almeno dal caso Ruby in poi. Ma l’ansia generale per il lavoro che non c’è, la sensazione di immobilità governativa, la crisi insomma vissuta dagli italiani, hanno completato il lavoro. Berlusconi accentratore, ego-riferito, sempre e comunque al centro della scena pubblica, adesso paga pegno. Ora è costretto a convivere, guardandosi in faccia nello specchio rotto della sua vanità, con un sentimento da cui si credeva immune. L’invidia. Invidia nera: la bile sale e offusca la mente dei più razionali degli uomini. Concentrato sull’oggetto del proprio disamore, l’invidioso lo vede ovunque mentre macchina complotti, ordisce trame, lavora alla sua defenestrazione. Vuole prendere il suo posto, estrometterlo, dargli il colpo di grazia.

Congetture? Il Cavaliere si dice stanco di sentirsi ripetere, o così o niente, dal suo Colbert di Como. Ma dell’allarme sui titoli di stato, il cui spread con la Germania è a livelli davvero da manicomio, se ne è accorto anche lui. Però manda a dire da un suo manutengolo, troppo piccolo per accorgersi che il Capo si sta sgonfiando come un pallone bucato, che per Tremonti ci vuole lo psichiatra. Che la deve smettere di considerarsi un dio. A un altro fa dire, papale papale, che il Divo Giulio lavora a far cadere il governo, per mettersi in proprio alla guida di un esecutivo tecnico. Quello che gli rode veramente è che gli italiani sceglierebbero Tremonti se convocati alle urne. Nel Palazzo, no, li ha nominati tutti lui: l’invidioso sa distinguere. Sa anche che di Tremonti è prigioniero, è il ministro impermeabile alle sue richieste il garante dei mercati europei. Crollasse lui, verrebbe giù tutto.

Accecato dall’invidia, sentimento nobilmente umile, non ha del tutto rinnegato il Sansone che ancora si agita in lui. E allora morire con tutti i filistei varrebbe pure la pena. Ma come? Cacciando un Tremonti per mettersi in casa un Bini-Smaghi? Non la berrebbe nessuno. In un altro tempo, in un altro stato, il partito di maggioranza relativa al governo avrebbe già staccato il ticket di ricambio Berlusconi-Tremonti. Esce uno entra l’altro, normale avvicendamento per recuperare il terreno perduto e non perderne altro. Con Berlusconi è impossibile: non è cattivo, lo hanno disegnato così. Ma improvvisamente il colorito del personaggio ha assunto un’inedita tonalità verdastra. E’ l’invidia: e non c’è cerone che tenga.