Berlusconi cerca il chiarimento con il Quirinale e lancia l’ultimatum a Fini

Silvio Berlusconi

Da un lato invia Gianni Letta al Quirinale per cercare una mediazione, ma anche un chiarimento, con il capo dello Stato sul ddl intercettazioni; dall’altra manda un secco ultimatum a Gianfranco Fini, intimandogli di rientrare nei ranghi pena la separazione. Silvio Berlusconi mostra i muscoli, annunciando di non aver trovato una ”situazione tranquilla al suo rientro in Italia ma che ”da lunedi’ prendera’ la situazione in mano” rassicurando i suoi elettori con un meneghino ‘ghe pensi mi”.

Sul primo fronte il premier intende andare a vedere quello che un dirigente del Pdl definisce il ”gioco” dell’inquilino del Colle. Una missione affidata al solito ambasciatore, Letta. Il compito affidato al sottosegretario e’ quello di verificare quali siano esattamente quei ”punti critici” cui ha fatto cenno il presidente della Repubblica. Ma non solo: il Pdl vuole un chiarimento, trovare un modus vivendi e operandi con il Quirinale.

Perche’ quel rimprovero mosso da Niccolo’ Ghedini dalle pagine del Corriere della Sera (”C’e’ un Parlamento: spetta a quest’ultimo decidere”; e ancora: ”La valutazione del capo dello Stato non e’ su problemi di natura tecnica. Altrimenti dovrebbe farsi eleggere. La valutazione e’ sulla costituzionalita’. Le ‘criticita’ tecniche’ esulano dalla sua competenza”), che tanto sdegno ha sollevato nell’opposizione, dal segretario del Pd Pierluigi Bersani all’Idv, esprime quello che molti nel Pdl pensano, ma non dicono: il capo dello Stato e’ uscito dalle sue competenze con una invasione di campo nelle prerogative del Parlamento.

Un’irritazione che sarebbe emersa anche nel corso del vertice a palazzo Grazioli, dove Berlusconi ha riunito i vertici del partito. Eppure, nonostante i toni usati dall’avvocato del Cavaliere, il dialogo con il Colle e’ tutt’altro che chiuso. La linea dettata dal premier resta quella dell’apertura a ”miglioramenti” del testo. Lo stesso Ghedini, privatamente, si sarebbe lamentato delle ricostruzioni sulla consulta giuridica del Pdl secondo le quali il Pdl aveva chiuso a qualsiasi modifica.

La verità, si assicura nella maggioranza, e’ l’opposto: perche’, come spiega Maurizio Gasparri, ”e’ necessario un approfondimento” sul testo nella speranza che si svelenisca il clima. In fondo, gli fa eco il leghista Marco Reguzzoni, ”l’appello del Capo dello Stato e’ la sintesi piu’ importante a cui dobbiamo attenerci e noi siamo assolutamente aperti al dialogo”. Tutti elementi che danno forza all’ipotesi che sia un corso una trattativa con il Quirinale, proprio con l’obiettivo di capire quali siano i rilievi costituzionali che il Colle potrebbe muovere al ddl e effettuare gli opportuni cambiamenti. La strada, ricordano pero’ nel Pdl, resta stretta anche perche’ cio’ che e’ stato votato da Senato e Camera non puo’ essere toccato. Spettera’ poi al presidente del Consiglio decidere se le modifiche chieste siano accettabili o se snaturino un testo che deve rispettare gli obiettivi prefissati: evitare la pubblicazione degli atti e tutelare la privacy. Ecco perche’ la pausa del fine settimana.

Sull’altro fronte caldo nella maggioranza, quello del rapporto con Gianfranco Fini, i toni sono da ‘redde rationem’. Lo dice apertamente Fabrizio Cicchitto: ”Al punto in cui siamo, in un lasso ragionevole di tempo, o si definiscono in modo serio i termini di una convivenza oppure sara’ piu’ ragionevole definire una separazione consensuale”, avverte il capogruppo del Pdl. Per Berlusconi sembra che il tempo delle trattative sia finito. O si scioglie il nodo con l’ex leader di An, sarebbe stato il suo ragionamento nel corso del vertice a palazzo Grazioli, oppure meglio dirsi addio.

Il premier avrebbe usato parole pesanti all’indirizzo di Fini, accusato di tradimento e di atteggiamenti folli. Ma al di la’ delle espressioni colorite, il dato politico e’ che ormai nel Pdl nessuno esclude una rottura. Anche in tempi brevi se e’ vero che un ufficio di presidenza potrebbe essere convocato gia’ la prossima settimana. Del resto, si e’ ragionato a via del Plebiscito, Prodi e’ durato due anni con un solo senatore in piu’.

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