Berlusconi: “Napolitano scioglie le Camere? Senza di me nulla”. Linea dura del Pdl

Pubblicato il 14 Febbraio 2011 - 11:26 OLTRE 6 MESI FA

Silvio Berlusconi

Berlusconi ha aspettato che passasse la domenica, ha ponderato il suo intervento dopo aver palesato la sua “sorpresa” per le parole di Napolitano sulla legislatura a rischio. Poi, come già annunciato, ha telefonato a Domenica 5, in diretta. Prima un intervento sulle donne in piazza (“manifestazione vergognosa”), un affondo su Fini, infine le parole più attese. La legislatura, risponde Berlusconi a Napolitano, non è a rischio finché la maggioranza è salda. E anche se il presidente della Repubblica volesse sciogliere le Camere, comunque sarebbe il presidente del Consiglio a dover controfirmare il decreto.

Insomma le minacce del Colle vanno a vuoto, Napolitano non può fare nulla senza l’assenso del presidente del Consiglio.

Berlusconi risponde citando l’articolo 88 della Costituzione: ”Prevede che senza una formale crisi di governo per interrompere anticipatamente una legislatura occorre che il presidente della Repubblica consulti sia i presidenti delle Camere che il presidente del Consiglio, cioè Silvio Berlusconi”. Carta alla mano, il premier fa muro contro le minacce del Colle e dice a chiare lettere che l’unica crisi possibile è quella che viene dal Parlamento, con una crisi formale o una mozione di sfiducia. Ipotesi che nelle parole di Berlusconi sembra lontana: parlando delle future riforme del governo dice che presto la maggioranza alla Camera potrà contare su 325 deputati.

Non alza il tono, formalmente nessuna critica verso il Colle. La strategia concordata verso il “presidente galantuomo” è presto detta: da Berlusconi solo toni morbidi e il più possibile concilianti. Al Pdl e ai media vicini al governo l’azione più dura. Nella serata di domenica il comunicato congiunto di Cicchitto, Gasparri, Quagliariello e Corsaro è una conferma della linea: “Il governo ha il sostegno del Parlamento” e più avanti si legge: “Il senso di confusione tra poteri dello Stato rischia di aggravare le difficoltà piuttosto che contribuire alla loro soluzione”.

Il messaggio è chiaro e alltrettanto evidente è il destinatario, ossia il Colle. Ancora più chiaro il giudizio riportato da alcuni uomini vicini al premier al Corriere della Sera: “Non si può nemmeno predicare moderazione istituzionale e al contempo in sostanza minacciare lo scioglimento del Parlamento, a meno di voler perdere quell’autorevolezza che tutti gli riconosciamo”.

A corazzare la strategia la riunione, già alla fine della scorsa settimana, con i direttori dei media di famiglia: “Sarà guerra totale”, ha avvertito il premier. Ed ecco che si rispolvera l’idea di una grande manifestazione nazionale, che manderebbe all’aria qualsiasi proposito di mantenere bassi i toni. D’altra parte, ragionano gli uomini del premier, “noi non possiamo porgere l’altra guancia ai pm, a Fini, a Di Pietro, ora anche a Napolitano, senza mai reagire”.

Unica nota dolente e fuori dal coro: la Lega. Roberto Maroni, dopo le parole di Napolitano, ha detto che in effetti la legislatura è a rischio. E nelle stesse ore Fini ragionava sulla nuova linea: corteggiare i leghisti promettendo appoggio al federalismo in cambio di una nuova legge elettorale. Berlusconi ha avvertito le potenzialità della possibile intesa e non ha caso nel suo discorso a Mattino 5 è tornato a parlare di federalismo nell’ambito di un programma di riforme che parte proprio da lì.