Berlusconi: i tre giorni del silenzio. Ma non sono le parole che gli mancano

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 19 Maggio 2011 - 16:44 OLTRE 6 MESI FA

ROMA-E con giovedì fanno tre…i tre giorni del silenzio. Da lunedì sera Silvio Berlusconi non parla, al paese, al popolo, al popolo delle libertà. Dicono se ne stia zitto e muto perché impegnato in una nuova strategia di comunicazione elettorale: separare la sua persona dalla campagna per i ballottaggi. Dicono abbia accettato l’idea che i suoi toni “alti” non portano voti, anzi. Chi dice così gli fa torto e ha poca memoria: i toni di Berlusconi, la forma e la sostanza del suo parlare al paese sono sempre stati “alti”. E spesso il massimo e gridato volume ha portato consensi. E poi Berlusconi non è uomo da rintanarsi. Se sta zitto, oltre che una novità, è anche un segnale. Berlusconi sta cercando di capire e la storiella per cui a Milano lui, il Pdl e la Moratti hanno perso per colpa di un Lassini, una Santanché, un Sallusti è troppo esile nella sua piatta semplicità. Solo nella testa di chi le riporta, i giornalisti, le parole, solo le parole della politica sono la politica, tutta la politica, niente altro che la politica.

E se invece che per qualche comizio, per qualche anatema, per qualche battuta Berlusconi avesse stavolta perso per altro, per altro che non sono parole e grida? Se ad esempio l’esperienza concreta e materiale delle tasse che non calano fosse diventata senso comune? Se il reddito delle famiglie che cala fosse divenato altro che un titolo o una tabella dell’economia e fosse diventata vita vissuta? Se la pratica di comprarsi deputati non fosse stata gradita? Se Milano avesse provato fastidio dal dover ospitare e convivere con le “Olgettine”? Se promettere casa libera e abusiva fosse risultato intollerabile al Nord e poco credibile perfino a Napoli visto che era la quarta volta che si annunciava il decreto? Se l’impegno a varare una legge, l’unico contro pelo ai sondaggi, quella legge che ordina di prolungare la vita, qualunque vita, anche se sei un malato terminale avesse dato fastidio? Se tutto questo un po’ e un po’ di tutto questo avesse mangiato ed eroso il consenso elettorale al governo, ai suoi partiti, al suo premier?

Se un elettore su quattro di quelli che un anno fa alle regionali hanno votato per Berlusconi e Bossi stavolta non ha ripetuto la scelta non fosse perché Berlusconi ce l’ha con i giudici e lo grida in ogni piazza? Se questo voto negato non fosse l’effetto di una propaganda per l’occasione sbagliata ma la conseguenza di un lento ma profondo mutare delle condizioni economiche e della condizione sociale? Se fosse un segno di disapprovazione invece che di semplice disamore? Pochi, quasi nessuno nel Pdl azzarda neanche domandarselo. I leghisti al contrario lo fanno ma per ora non forniscono risposta neanche a se stessi. Però Berlusconi non è non può essere come la sua “corte”, cieca, muta e sorda. Lui se ne sta solo muto e ci deve star pensando sopra. Perchè sa che se fosse solo un problema di parole sbagliate, lui era e resta il mago delle parole, l’artista della comunicazione, il virtuoso della propaganda. Se invece il giudizio degli elettori fosse stato non sulle parole ma sulle azioni, allora per Berlusconi sarebbe davvero il più grosso dei guai. Tornerà a parlare dopo i tre giorni del silenzio e non gli mancheranno le parole. Quel che gli manca sono i fatti del governare. Perciò sta zitto e disperatamente li cerca.