Fini e Casini (con Rutelli): “Vattene”. Berlusconi: “Non mi muovo, irresponsabili”

Pubblicato il 2 Dicembre 2010 - 18:31 OLTRE 6 MESI FA

Umberto Bossi, Gianfranco Fini, Silvio Berlusconi e Pierferdinando Casini: una volta andavano d'accordo

“Vattene”. “Non ci penso neppure, irresponsabili”. La guerra di nervi è cominciata. Da una parte, nel ruolo di aspirante scardinatore del potere costituito, c’è il Terzo Polo, quello di Gianfranco Fini, Pierferdinando Casini e Francesco Rutelli. Dall’altra parte del fronte c’è Silvio Berlusconi, arroccato più che mai a difesa della sua posizione di presidente del Consiglio e dello “scudo” che ne consegue.

La novità principale di oggi, più che nello scambio di battute, e nell’annuncio – minaccia della presentazione di una mozione di sfiducia da parte dei centristi, sta nel fatto che il Terzo Polo ha preso forma. Non in modo definitivo. Per quello c’è tempo e si aspettano nuove convergenze (il pensiero corre subito a Luca Cordero di Montezemolo). Da oggi, però, sappiamo un po’ meglio che cosa sia il Terzo Polo e che cosa voglia. Oltre al trio composto dal “neolaico” Fini, dal “neocattolico” Rutelli e dal “veterocattolico” Casini, ci sono anche Raffaele Lombardo dell’Mpa, i Libdem e due deputati del Gruppo Misto, il repubblicano Giorgio La Malfa, e l’ex berlusconiano doc Paolo Guzzanti.

Quello che vogliono è chiaro: vogliono la “testa” di Berlusconi e uno scenario successivo qualsiasi diverso dal ritorno alle urne. Che lo possano ottenere è tutt’altra storia. I numeri cambiano ogni giorno: oggi, hanno detto Bruno Tabacci e Italo Bocchino uscendo dalla riunione, “Siamo a quota 317, sommando le firme della nuova mozione di sfiducia Fli-Udc-Api-Mpa, che verrà depositata, alla mozione già presentata da Pd e Idv”. Anche Fini ostenta lo stesso ottimismo: “Le firme dimostrano che la fiducia alla Camera non c’è. Spero che con questo documento non si arrivi al 14”. Ma, a Camera chiusa, può succedere di tutto. Antonio Di Pietro, sfoggiando una “sobrietà” tipica di certe situazioni,  a proposito del mercato dei deputati, ha parlato di “compravendita di maiali”. Che Berlusconi il 14 dicembre non sia più premier, insomma, è tutto da dimostrare.

Quanto alle dimissioni del Cavaliere invocate dai “terzopolisti” difficile, quasi impossibile, che ne esca qualcosa. In questo Paese ci si dimette poco che diventa niente quando le dimissioni sono pubblicamente richieste. Ne sa qualcosa lo stesso Fini che, dal discorso di Mirabello in poi, per tutto il periodo della “crociata” della casa di Montecarlo, di richiesta di dimissioni ne ha ricevute a centinaia. Tutte cestinate. E Berlusconi promette di non essere da meno: “Irresponsabili. Continuo a lavorare per gli interessi del Paese”.  Che nella sua visione dell’Italia coincidono per con il governo a guida Berlusconi.

Il resto è la fiera delle ipocrisie. Tutti, nel presentare le loro ragioni, si nascondono dietro “un fine superiore” che è un paravento. Il Terzo Polo, come il Pd, fa sua la posizione degli industriali e racconta di non volere il voto perché il “Paese non se lo può permettere”. La realtà è che il voto non lo vogliono o perché non sono pronti (Terzo Polo) o perché sono inchiodati al 23% (Pd), dato confermato anche dall’ultimo sondaggio Crespi. A proposito: a forza di chiedere il governo tecnico i democratici rischiano di diventare a breve inferiori ad un ipotetico asse Di Pietro-Vendola, quelli che le urne le vogliono e dati a quota 6,7 (Idv) e 7,2% (Sel).

Berlusconi, invece, da un lato chiede le elezioni in caso di sua caduta, dall’altro accusa l’opposizione di irresponsabilità. Che invece, facendosi da parte e appoggiando un esecutivo a guida Tremonti o Letta, possa evitare le urne, Berlusconi si guarda bene dal dirlo. La sua concezione della democrazia parlamentare è che ha vinto lui, non il suo partito e che qualsiasi scenario alternativo somiglia a un golpe.

Il grimaldello che può sbloccare tutta la situazione è la Lega. Da Mirabello in poi, il coro di Umberto Bossi e i suoi è stato sempre lo stesso: “Al voto, al voto!”.  Ma da qualche giorno a questa parte il “vento del nord” è cambiato. Sarà l’idea di Tremonti premier, sarà che è meglio non correre rischi su Federalismo e affini, ma le grida della Lega per le elezioni si sono abbassate a volume di sussurri. E sono iniziati i distinguo. L’ultimo, quello del Ministro degli Interni Roberto Maroni, che oggi si è tenuto sul vago: ”Vedremo, il futuro riposa sulle ginocchia di Giove… Lasciamo un po’ di suspence, oggi in Aula si è vista plasticamente il quadro di una possibile nuova maggioranza”.