Bersani, scout senza bussola. Per un governo vedi alla voce Banca di Italia

Pubblicato il 5 Marzo 2013 - 10:49| Aggiornato il 29 Agosto 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Pierluigi Bersani, primo fra i perdenti, sarà lo scout, l’esploratore per conto del Presidente della Repubblica, a caccia di quel “governo del cambiamento” con cui provare a stanare i riottosi grillini: avrà il via libera del gruppo dirigente del Pd, saggerà tenuta e reazioni dell’insondabile gruppo M5S, lascerà infine spazio a un progetto di governo meno avventuroso, dal profilo politico-istituzionale (e forse più aderente al principio di realtà),  che peschi tra civil servants di provata esperienza maturata nelle prefetture o negli uffici della Banca d’Italia e affinata a Palazzo nei ministeri.

I nomi che circolano? Fabrizio Saccomanni, attuale direttore generale di Bankitalia, di cui fu per qualche momento in predicato di divenire governatore (lo voleva Berlusconi). Fabrizio Barca, attuale ministro della Coesione Territoriale,  anche lui  ex della Banca d’Italia come dirigente nel Servizio Studi, famiglia comunista (suo padre fu direttore dell’Unità), accreditato come vero artefice dello sconto incassato dall’Italia sul budget europeo.  Anna Maria Cancellieri, ministro dell’Interno, ex prefetto, è l’unica donna nella rosa dei papabili.

Insomma un governo tecnico, capace di intercettare la fiducia anche dei grillini, ma non troppo, temperato da un tasso di politicità garantito magari da professionisti di area nei ministeri chiave. Come argutamente nota Stefano Folli sul Sole 24 Ore, a Bersani andrebbe il compito più ingrato: come Mosè, non sarà lui a portare il suo popolo nella Terra Promessa, compito che lascerà, come nel racconto biblico, a un qualche Giosué. Nella “entità divina” che ferma Mosè, secondo il paragone dell’editorialista, non è difficile riconoscere Giorgio Napolitano, vero dominus della situazione.

Ciò che Grillo, tra un insulto e una smentita, ha concesso al presidente della Repubblica (le parole del capogruppo Crimi), il Pd non sa o non vuole concedere: la disponibilità a un nuovo governo tecnico, o di scopo, o come si chiami, significa mettere in discussione l’esistenza stessa del partito. Alla Direzione di domani (6 febbraio) verrà data prova di unità (la maggioranza è al 65%), anche Matteo Renzi è dato in arrivo: ma la strategia, esporre un monocolore democratico di minoranza al rischio impallinamento permanente, appare più pretestuosa che ispirata a coraggio e combattimento. Lo spiega ancora Folli: “Una volta battuto, Bersani si riterrebbe autorizzato a guidare come premier sconfitto in Parlamento ma ancora in carica, le successive elezioni politiche”.

Strategia, azzardo, o mossa disperata? Per fermare Mosé ci volle la volontà di Dio. Per fermare Bersani, al bivio decisivo della sua carriera politica, c’è una folla di pretendenti, dal Colle in giù.