Bersani, Prodi al Quirinale per aggirare le larghe intese?

Pubblicato il 2 Aprile 2013 - 09:03| Aggiornato il 4 Dicembre 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Secondo Pier Luigi Bersani, “la priorità ora è l’elezione del presidente della Repubblica”. Bersani, messo all’angolo, punta ora a portare Romano Prodi sul più alto scranno del Quirinale. Lo scrive Maria Teresa Meli sul Corriere della Sera.

Ai suoi il segretario avrebbe detto: “Dopo la scelta del nuovo capo dello Stato ci saranno ancora più elementi che giustificheranno l’esigenza di un governo di cambiamento, e che chiariranno che le ipotesi delle larghe intese o di un nuovo esecutivo tecnico retto da una strana maggioranza sono impraticabili”.

Lo schema, secondo il Corriere è il seguente:

Se l’elezione del presidente avvenisse senza l’aiuto del Pdl ma con l’apporto dei grillini e, magari, di qualche montiano, sarebbe veramente difficile mettere di nuovo insieme attorno a un tavolo il Pd e il Pdl. […] Un capo dello Stato di rottura nei confronti di Berlusconi scriverebbe la parola fine sul tormentone delle «grandi intese», come su quello di un governo modello Monti. E il nome vincente in questo senso potrebbe essere quello di Romano Prodi.

La ragione, secondo Maria Teresa Meli, risiederebbe in un post pubblicato sul Blog di Grillo sabato e che è sfuggito a molti:

Il leader del Movimento 5 Stelle sostiene di non voler vedere un politico già usato al Quirinale, però poi accusa Partito democratico e Pdl che «vorrebbero un presidente “quieta non movere et mota quietare”, non un Pertini, ma neppure più modestamente un Prodi che cancellerebbe dalle carte geografiche Berlusconi».

Se i calcoli di Bersani sono azzeccati, proporre l’elezione di Prodi, uomo chiaramente incline alle posizioni di Pd e Sel, metterebbe a tacere il “bisogno disinteressato” di Berlusconi di un governo di larghe intese e dichiarerebbe scacco matto al Movimento 5 Stelle, costretto a sostenere Prodi per contribuire alla strategia “anti Cavaliere”.

Persino Berlusconi, scrive Meli, si è convinto di essere caduto in una trappola: “Se c’è qualcuno che nel centrodestra pensa di approfittarne per mettermi da parte sta facendo male i suoi calcoli, perché io rovescio il tavolo”.

E che Bersani stia riflettendo su come fare per uscire dall’angolo in cui è stato messo a guardare la nascita di un ipotetico governissimo, lo dicono queste sue parole: “I saggi non possono preparare il terreno per le larghe intese, se c’è qualcuno nel partito che invece ha in mente questo obiettivo lo dica chiaramente”.

Ma, racconta Meli, di quell’idea ce ne sono diversi:

Paolo Gentiloni, per esempio, che dice: “Sto dalla parte di Enrico Letta che ha dato sostegno e fiducia a Napolitano”. Mentre un altro renziano, Angelo Rughetti, propone: «Si potrebbero stabilizzare i gruppi di lavoro in un nuovo governo”.

I bersaniani dal canto loro restano fedeli al segretario. Napolitano non ha dato l’incarico a nessun altro, quindi: “La soluzione proposta da Bersani è la più forte anche perché non ci sono nomi nuovi per la premiership”, parola di Matteo Orfini.

Nel frattempo, però, restano a galla anche nomi più moderati, espressioni cioè del costituzionalismo più puro che trovano in Stefano Rodotà (papà della privacy, ex vicepresidente della Camera ed ex parlamentare a Strasburgo) e Gustavo Zagrebelsky (già presidente della Corte Costituzionale, docente di diritto costituzionale, uno dei maggiori difensori in materia di laicità dello Stato) due candidati graditi ai 5 stelle e che contribuirebbero a portare al Quirinale un settennato di altissimo profilo.