Bocchino e Bondi, il duello degli “scudieri”
Uno ha 51 anni, è di Fivizzano (Massa Carrara) e da giovane era comunista. L’altro è napoletano, ha 44 anni, e da giovane era fascista, o per la precisione missino. Uno è separato, convivente e accusato dalla precedente moglie di violenze. L’altro è semplicemente sposato. Per sedici anni hanno abitato nella stessa coalizione, all’ombra dei rispettivi leader. Per 16 anni si sono mal sopportati. E ora che il divorzio tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini è ufficiale e conclamato, Sandro Bondi e Italo Bocchino possono dirsele di santa ragione senza dover obbedire ad una “ragion di governo” che gli avrebbe imposto di tenere i toni sotto il livello di guardia.
Ai due non sarà parso vero. E quello di oggi è solo l’ultimo di una lunga lista di scontri consumati, per ora, a mezzo stampa. Partiamo dal presente. Il 16 dicembre, mentre è sulla graticola per la mozione di sfiducia nei suoi confronti da discutere alla Camera, il ministro dei Beni culturali rilascia un’intervista al Giornale. Titolo, più o meno, “Bocchino mi ha minacciato, voleva i soldi per la moglie”. Che all’anagrafe si chiama Gabriella Buontempo e di mestiere fa la produttrice di film, per tv e cinema. In Italia, si sa, è difficile che una pellicola veda una sala senza i finanziamenti pubblici. E il periodo è di vacche particolarmente magre. Quanto alla Rai, strappare un contratto per piazzare una o due fiction, può fare la differenza tra la sopravvivenza di un’azienda e la sua bancarotta. Bondi lo sa e usa la situazione per denunciare da un pulpito il suo “nemico del cuore”. Bocchino la prende male, anzi malissimo, e risponde: “Su mia moglie vaneggia, lo querelo”. Poi le spiegazioni tecniche: il finiano spiega che quei soldi sono arrivati una sola volta e anche restituiti perché, alla fine, la signora Buontempo il film in questione se lo è pagato da sola.
L’unica differenza, rispetto alle polemiche precedenti, è che qui l’attaccante è il “mite Bondi”. In passato, invece, era stato quasi sempre Bocchino ad aprire le danze. Destino parallelo a quello dei rispettivi leader: per mesi il “bastonatore” è stato Fini. Il voto di martedì, per ora, l’ha relegato al ruolo di incudine, e i due luogotenenti si adeguano.
Piccolo salto indietro, al 14 dicembre. Berlusconi ottiene la fiducia per tre voti alla Camera. Fini è costretto ad annunciare la sua stessa sconfitta, decisa, tra gli altri dal voltafaccia finale di miss Cepu Catia Polidori. Il 14 dicembre è stato il suo ultimo giorno nel Fli, solo che dalle parti del presidente della Camera non lo sapevano. La stessa sera, a Ballarò chi c’è a discutere della fiducia? Sandro Bondi e Italo Bocchino. Appena esce fuori il nome della Polidori, non può che finire in rissa verbale. “La Polidori dopo il voto è stata minacciata!” tuona il ministro. “Se vuoi ti dico chi l’ha minacciata prima del voto” replica Bocchino. E giù urla e insulti.
Torniamo indietro di un mese scarso, al 22 novembre. Il dibattito del giorno è quello sul “simbolo del Pdl”. I leader se ne stanno in disparte. Chi esce allo scoperto? Italo Bocchino, naturalmente. Attorno all’ora di pranzo il finiano fa sapere che Berlusconi non potrà e non dovrà utilizzare il nome Pdl, perché, per metà, è anche di Fini. La cosa, ovviamente, finirà in Tribunale. Ma chi è tra i più solerti a rispondere nelle fila del Pdl? Sandro Bondi, naturalmente, che replica: “Bocchino tira fuori beghe da condominio”.
Altro passo indietro, e arriviamo alla calda estate dei probiviri e della casa di Montecarlo che fanno da prologo al discorso di Mirabello. Il Pdl chiede a ogni minuto le dimissioni di Fini dalla presidenza della Camera. L’undici agosto il leader Fli scatena il suo “alfiere” Bocchino che rilascia un’intervista a Repubblica. Contenuto: Fini non si dimette. Piuttosto lo facciano Berlusconi, Bertolaso, Matteoli e Fitto. Replica “serena” di Bondi: “Bocchino è in stato confusionale”. Controreplica di Bocchino: “Difendi un plurimputato”.
Un mese prima impera l’affaire Cosentino. I finiani vogliono le dimissioni e minacciano di dire sì all’uso delle intercettazioni contro il sottosegretario. Finisce che Cosentino il 14 luglio si dimette e conserva solo l’incarico di coordinatore regionale del Pdl. Quanto alle intercettazioni: negate il 22 settembre. Bocchino chiede trasparenza e Bondi, sempre lui, risponde: “Il suo è un ruolo nefasto nel Pdl”. Sempre lo stesso giorno circola la voce di un dossier per colpire proprio Italo Bocchino. Poi se ne perdono le tracce.
Tutto finito? Quasi. C’è un episodio datato addirittura 2009. E’ la polemica delle “ghedinate”. Bocchino punge l’avvocato del premier Niccolò Ghedini, uno che “perde le cause in tribunale e pretende di vincerle in Parlamento” e tuona: “Basta ghedinate”. Bondi la prende male e replica: “Neologismo ineducato e inacettabile”. Col senno di poi, quello del 2009, è quasi uno scambio di cortesie.