Brancher condannato, le motivazioni della sentenza

Pubblicato il 16 Settembre 2010 - 11:47 OLTRE 6 MESI FA

Aldo Brancher

Aldo Brancher era a conoscenza della natura illecita “delle somme che riceveva o, comunque, aveva concreti elementi per ritenerla”. E’ uno dei passaggi delle motivazioni della sentenza con cui lo scorso 28 luglio il giudice di Milano Annamaria Gatto ha condannato, con rito abbreviato, l’ex ministro Aldo Brancher, imputato per ricettazione e appropriazione indebita, a due anni di reclusione e quattro mila euro di multa per uno dei tanti capitoli della vicenda sulla tentata scalata ad Antonveneta.

Nelle prime pagine delle motivazioni, depositate questa mattina, il giudice ha fatto una ricostruzione ‘storica’ della vicenda processuale di Brancher, in particolare tra giugno e luglio scorsi: da quando, nominato ministro, aveva eccepito il legittimo impedimento, a quando in aula ha rinunciato ”all’incarico ministeriale conferitogli”, chiedendo di essere processato con rito abbreviato.

Brancher è stato condannato per quattro dei sei episodi contestati dal pm Eugenio Fusco che riguardano i reati di appropriazione indebita e ricettazione per una cifra complessiva di 827 mila euro ricevuta dall’ex ad di Bpi Gianpiero Fiorani e ‘sottratta’ dalle casse della banca. Episodi che, per l’accusa, sono stati commessi tra il 2001 e il 2005.

Il giudice, trattando gli episodi di ricettazione, tra cui quello per cui e’ stata archiviata la posizione del ministro Roberto Calderoli, ha osservato che la ricostruzione dei fatti ”è tale da pienamente supportare il ragionevole convincimento che l’. on. Brancher si sia seriamente rappresentato la provenienza delittuosa del denaro ricevuto ed abbia consapevolmente scelto di riceverlo, accettando – pur di non rinunciare ai vantaggi che ne ricavava – di commettere il reato di ricettazione”.

Inoltre nelle motivazioni si sottolinea che la vicenda ”dimostra” che l’ex ministro ”ha più riprese ricevuto, e richiesto, ingenti somme di denaro che – proprio in considerazione dell’entita’ degli importo (…) – non aveva alcuna possibilita’ di ritenere che provenissero dal patrimonio personale di Fiorani e gli fossero da lui elargiti per mera liberalita”’.

”E, del resto, l’imputato – ha proseguito il giudice – sapeva che l’ad era in grado di ‘dirottare’ a beneficio di altri denaro di proprieta’ della banca avendo personalmente usufruito di tale ‘servizio’ quando aveva ottenuto la considerevole cifra di 420 mila euro”, cifra depositata sui conti della moglie del politico (il processo nei suoi confronti si terra’ a Lodi) e poi girata a lui stesso come plusvalenze per operazioni di mercato su titoli Tim e Autostrade effettuate dagli ex vertici della banca.