“Camerati non spingete”. C’è Matteo Salvini a Roma nera

di Emiliano Condò
Pubblicato il 12 Maggio 2015 - 11:21 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Lunedì 11 maggio, Teatro Brancaccio, centro di Roma. E’ qua che per una sera batte il “cuore nero” di Roma. Casapound organizza l’evento, ci sono centinaia di militanti. E soprattutto c’è l’ospite atteso, l’uomo che viene dal Nord e che rappresenta un partito che solo fino a un pugno di mesi fa urlava “Roma ladrona”, “Padania libera” e “secessione”.

Ora è cambiato tutto. Matteo Salvini, leader di una Lega che i numeri danno come prima forza di destra italiana, a Roma ci va più che volentieri. E ci va per parlare ai militanti di Casapound. Sfoggia una delle sue felpe con scritta. L’occasione gli fa scegliere quella con scritto “Marò”. Gli vale un applauso facile.

Per l’ospite d’onore, accolto con il coro che gli ultras della Roma riservano a Francesco Totti (c’è solo un capitano), c’è la ressa. I camerati, tra loro si chiamano orgogliosamente così, spingono per guadagnarsi un posto buono. Il servizio d’ordine, nonostante una organizzazione che per il Corriere della Sera Fabrizio Roncone definisce “militare”, fanno fatica a mantenere l’ordine, uno dei “valori” di riferimento degli ospiti.

La platea è varia. Si va da ragazzi rasati che sfoggiano tatuaggi tipo “dux” fino a “signore di Latina sulla cinquantina” che arrivano accompagnate dai loro mariti in mimetica. Spunta, osserva Roncone, anche Ernesto Alicicco. A chi non pratica il calcio il nome dirà poco. Per tutti gli altri è stato per una vita il medico sociale della Roma.

Scrive Roncone:

I militanti, intanto, vengono fatti entrare in sala a gruppi di quindici. Molti i giovani, un paio fanno ingresso con gli occhiali a specchio, certi con il casco. Saluto del legionario (avambracci che si stringono), qualche saluto romano (braccio teso), sotto i cartelloni di «Grease», il musical che è in scena qui dal 5 maggio scorso.

Poi arriva Salvini. Dopo essersi fatto desiderare non poco.

«Su, su con le bandiere!». Ordini secchi subito eseguiti. Bandiere tricolore sventolate nel riverbero delle luci fioche e cori da stadio, sghignazzi eccitati, un gruppetto di ragazzi inizia a cantare: «Un capitano/ c’è solo un capitano…» (che, di solito, è il grido riservato dai tifosi della Curva Sud a Francesco Totti).
Colpo d’occhio notevole: oltre mille persone, piena anche la galleria, uno striscione con la scritta: «Renzi e Marino a casa». Salvini si infila una maglietta con la scritta: «Marò liberi». Abbraccio con Simone Di Stefano, leader di «Sovranità» e vice-comandante di Casa Pound (il capo vero e temuto, Iannone, come sempre, un passo indietro).
«Cameratiii! Adesso silenzio!».
E cala un silenzio impenetrabile(l’ultima volta che Salvini scese a Roma, lo scorso 28 febbraio, in piazza del Popolo c’era un po’ più di libertà d’azione, c’erano anche i militanti di Fratelli d’Italia: ma stavolta Giorgia Meloni si è tenuta ben distante e così, ad ascoltare una voce che gira insistente, anche Marine Le Pen, la quale avrebbe deciso di non spedire più messaggi di saluto alle platee di Salvini, dopo aver appreso quanto siano nere).