Pensione politica per tutti gli eletti: l’ultima della Casta firmata Pd

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 18 Maggio 2010 - 15:09| Aggiornato il 21 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Evangelicamente si può implorare per loro: Signore, perdonali perchè non sanno quello che fanno. Devono infatti vivere in un altro mondo, staccato dagli umori e dai rumori del mondo reale, i tre parlamentari del Pd che hanno proposto in Commissione Lavoro l’istituzione della pensione o del vitalizio, insomma di qualcosa a fine mese per sempre per tutti gli eletti, almeno una volta, in qualunque Consiglio comunale o di circoscrizione. Una “pensione politica” che finora non esiste. Già, perchè tra i politici piccoli e piccolissimi a qualcuno la pensione per ora non è garantita dalla sua esclusiva attività di politico o amministratore.

Per ora in Italia funziona così: quando vieni eletto in Parlamento o in Consiglio Regionale, se prima avevi un altro lavoro, i contributi previdenziali continua a pagarli per te lo Stato. Non paga più il datore di lavoro, che è tenuto a conservarti il posto per quando non sarai più in carica. Paga lo Stato. Giusto, ovvio, regolare: era un lavoratore dipendente o un lavoratore autonomo, vieni eletto, non perdi i tuoi versamenti e la tua “assicurazione” per la vecchiaia, assicurazione chiamata pensione. Da privata l’assicurazione diventa pubblica. I parlamentari hanno anche altro, una sorta di “liquidazione” chiamata “indennità di reinserimento”. La riscuotono quando perdono il seggio. La riscuotono, insieme alla pensione (scatta dopo una legislatura quasi piena, almeno tre anni e viene pagata al raggiungimento dell’età anagrafica prevista), anche se prima di essere eletti un altro lavoro non lo avevano. Un po’ meno giusto e meno ovvio, ma non proprio uno scandalo, diciamo un benefit discutibile. Lo stesso meccanismo funziona per gli eletti nelle Assemblee legislative “minori”: Consigli comunali, comunità montane, consigli di circoscrizione. Facevi prima l’avvocato o il tranviere, i contributi che non versi più come lavoratore autonomo o che versava il tuo datore di lavoro li versa lo Stato. E se prima di entrare in quelle Assemblee non avevi nessun lavoro, se l’unico tuo lavoro nella vita è stato quello di candidato e poi eventualmente eletto? Allora non c’è “integrazione contributiva” da parte dello Stato e quindi non c’è vitalizio o pensione da “attività politica minore”. Giusto, ovvio, regolare: perchè mai un pugnetto di anni da assessore o consigliere o presidente di circoscrizione e di comunità deve da solo valere una pensione pubblica?

Uno dei tre firmatari della "pensione per gli eletti", Maria Luisa Gnecchi

Invece a Maria Luisa Gnecchi, Oriano Giovannelli e Lucia Condurelli, firmatari della proposta di legge numero 2875/09, la cosa appare ingiusta e discriminatoria. Al principio per cui un cittadino che fa politica attiva nulla deve perdere dei diritti previdenziali acquisiti con altri lavori, i tre parlamentari del Pd vogliono sostituire il principio per cui la politica attiva, ad ogni livello, anche a quello dilettantesco o poco più, è sempre e comunque un lavoro che sempre e comunque frutta pensione. Non solo in Parlamento, non solo nelle Assemblee regionali, anche in quelle di quartiere. La proposta di una “pensione politica per tutti”, eco lontana ma sincera del “sei politico per tutti gli studenti” è stata girata dagli altri membri della Commissione alla Ragioneria di Stato. Costa tra i quaranta e i cento milioni di euro. Che vuoi che siano nel grande mare dei quattro miliardi che è il costo complessivo del sistema politico? Quasi quasi si può fare e infatti quelli del Pdl hanno detto: “Parliamone”. Si spende un po’ ma si ottiene la riconoscenza di tanti piccoli “colleghi”.

Purtroppo o per fortuna se ne è parlato un po’ troppo. Fino a che qualcuno ha sentito, dentro e fuori la Commissione. Antonio Borghesi dell’Idv ha battezzato l’idea: “L’ultima follia della Casta”. Battesimo felice, nome indovinato.