Ceccanti (Pd): dl su protezione civile pone Italia fuori da principi di Stato democratico

Pubblicato il 3 Febbraio 2010 - 20:02 OLTRE 6 MESI FA

Stefano Ceccanti

«Con questo decreto ci troviamo di fronte ad un principio di connubio tra politica e amministrazione che viola non solo le caratteristiche di fondo degli Stati liberali contemporanei ma, più specificamente, uno dei punti chiave di una legge ordinamentale di cui la maggioranza di centrodestra si è vantata negli anni scorsi, la cosiddetta legge Frattini sul conflitto d’interessi». Lo dichiara il senatore del Pd Stefano Ceccanti illustrando in Senato la pregiudiziale di costituzionalità del Pd al decreto sulla protezione civile.

«La Legge Frattini, che dal centrosinistra è stata criticata per le ripetute e gigantesche omissioni rispetto al maxiconflitto di interesse del nostro presidente del Consiglio – aggiunge Ceccanti – è tuttavia tassativa nell’articolo 2 sulle incompatibilità, laddove prevede che il titolare di cariche di Governo – figura che comprende i Sottosegretari -, nello svolgimento del proprio incarico, non può ricoprire cariche e uffici o svolgere altre funzioni comunque denominate in enti di diritto pubblico anche economici».

«Addirittura, come clausola finale tassativa – prosegue – tale legge prevede che in tal caso non si possa esercitare qualsiasi tipo di impiego o lavoro pubblico. Quindi, in decreto non solo viola un principio fondamentale degli Stati democratici contemporanei, ma affonda in maniera solenne la legge Frattini sul conflitto di interessi, creando una deroga ad hoc, come tale non minimamente giustificabile. Insomma, non vorrei che la prossima volta ci trovassimo di fronte ad una legge che unifica la carica di Capo della Polizia con quella di Ministro dell’interno».

«La legge sulla protezione civile voluta dal governo Berlusconi – conclude Ceccanti – rispolvera quell’antica figura dell’unione personale che si usava un tempo quando due regni, formalmente distinti, venivano posti sotto lo stesso re. Per l’Italia il caso più emblematico – ma che nessuno può considerare un modello – fu quando al Re d’Italia venne assegnata anche la carica di Re di Albania».