MILANO – Dopo lo scambio di lettere sugli stili di vita, Comunione e liberazione, la comunità fondata da don Giussani prega e riflette, impermeabile, almeno in apparenza, alla bufera che si sta abbattendo su Roberto Formigoni e le polemiche per i presunti viaggi pagati dall’imprenditore Pierangelo Daccò. Ma la comunità al suo interno è profondamente scossa e disorientata per essere stata coinvolta in un crescendo di polemiche che la associano al declino dei partiti della seconda Repubblica.
A dare il là era stata Carla Vites, moglie di Antonio Simone, arrestato la settimana scorsa per la vicenda legata alla Fondazione Maugeri, cui sarebbero stati sottratti milioni di euro. In una lettera al Corriere della Sera la donna , ex ciellina della prima ora, accusava il governatore della Lombardia di mentire: “Cl – aveva aggiunto – deve avere un sussulto di gelosia per la propria identità, per quello che Giussani pensava al momento della fondazione”.
Julian Carron, il successore di Don Giussani, ha ribadito che il movimento non è un partito. Ma proprio per questo il prezzo pagato da Cl rischia di essere doppio dinanzi al tribunale dell’opinione pubblica. Sentimenti contrastanti, ma unanime difesa del movimento, che a sentire i suoi militanti non viene neppure scalfito dalla vicenda Formigoni.
Sul Fatto Quotidiano di martedì, Bruno Vergani, ex Memores Domini, come veniva chiamato il gruppo adulto di Cl, si dice stupito dei soldi che circolano nelle mani degli uomini di Cl. “Allora ciascuno metteva il suo stipendio nella cassa comune, da cui si attingeva per pagare le spese”. Ma, secondo Vergani, Formigoni non tradisce: “Don Giussani era animato infatti dall’ossessione della presenza: i cattolici, contro una visione intimista e individualista della fede, devono mostrarsi nel mondo, costruire cose visibili. Sì – conclude – il problema è l’ontologia stessa di Don Giussani”.
Racconta di una teologia tribale Vergani, sebbene sia Carròn che l’arcivescovo di Milano Angelo Scola, sembrano prendere le distanze dalla deriva affaristica di Cl. Ma proprio perché Cl non è un partito, argomenta Gianni Riotta dalle colonne del quotidiano La Stampa, “non può accontentarsi di reagire come in questi casi suggeriscono gli spin doctor bravi a spargere fumo mediatico”.
Mentre la fiducia nei partiti crolla, l’astensione sale e il disincanto si radica, sintetizza magistralmente Riotta: “Ovunque, sembra che il fare – spesso fare solo i propri affari – spenga il “credere” nella Fede per i cattolici, nel’operare probo per i laici”.
Illudersi di sostituire il credere con il fare – ammonisce Riotta – è male che la classe dirigente italiana tutta, dal governo ai cittadini, deve esorcizzare se non vogliamo perderci. La corruzione della II Repubblica non è solo mazzette e rinuncia allo sviluppo: è soprattutto morte di un’etica collettiva”.