Dal condono 60 miliardi in 5 anni. E allora? Ne evadiamo 120 all’anno

di Warsamé Dini Casali
Pubblicato il 10 Ottobre 2011 - 13:02 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Serve davvero il condono fiscale, fortemente voluto da ampi e rilevanti pezzi della maggioranza e smentito da Palazzo Chigi venerdì scorso (7 ottobre)? Giulio Tremonti è assolutamente convinto che no, non serve, per almeno due ottime ragioni, anche al netto di ogni riserva di ordine etico. “Il condono darebbe scarso gettito e ci creerebbe un problema con l’Europa”. Nonostante la ricerca affannosa e per certi versi disperata, di reperire risorse per lo sviluppo, lanciare un condono oggi, significherebbe vanificare gli sforzi titanici intrapresi per ridurre il gigantesco problema dell’evasione fiscale. Anche il solo annuncio di una sanatoria può pregiudicare il recupero dell’evasione che nel solo 2010, ha fruttato 25,4 miliardi di euro sottratti al nero. Ora che Tremonti può vantare il successo, passato quasi in sordina, della caduta del segreto bancario, inviare un messaggio contraddittorio sarebbe controproducente e ci alienerebbe la possibilità di intaccare progressivamente il mancato gettito monstre rappresentato dall’evasione. Meglio la gallina domani del recupero del nero avviato per i prossimi anni, che l’uovo oggi del gettito parziale e insufficiente per coprire i tagli ai ministeri. Tradotto in cifre: la previsione di una raccolta di 60 miliardi in cinque anni dal condono, contro la sicurezza di continuare a sopportare i 120 miliardi ogni anno sottratti al fisco.

“Finora le entrate da lotta all’evasione fiscale e contributiva sono servite sistematicamente per finanziare la spesa pubblica: sanità, pensioni, assistenza. Il condono minaccia l’afflusso di queste entrate negli anni a venire. Alla fine avremo maggiore deficit” sostiene ancora Tremonti. Rispetto all’Europa, va ricordato che esiste già una procedura di infrazione per un’altra sanatoria: l’unica possibile, ragionano tecnici e esperti tributari, è quella sulle liti pendenti, abolendo il tetto dei 20 mila euro. Un colpo di spugna su gran parte dei ricorsi su imposte e tasse che ingolfano la macchina della giustizia che aggirerebbe veti e censure da parte di Bruxelles.

Tuttavia, nonostante la smentita ufficiale di Palazzo Chigi, fortemente voluta venerdì scorso da Giulio Tremonti, la guerra a bassa intensità su ogni ipotesi di sanatoria, durerà fino a giovedì prossimo, quando si riunirà il Consiglio dei ministri. Già al comunicato ufficiale, mancava l’avallo, il sigillo del Primo ministro: Berlusconi ha trascorso il week-end alla festa di Putin in Russia e, come afferma Il Giornale, è risultato irraggiungibile telefonicamente per tre giorni. Il premier ha accarezzato l’idea di una sanatoria, forte anche di una raccolta firme di 40 deputati in favore, presentatagli dal deputato La Boccetta. Forte della convinzione che Tremonti, oramai, s’è messo in testa di essere il nuovo Visco, autentico spauracchio della cultura politica che rappresenta. Soprattutto, i colonnelli non escludono affatto il ricorso a qualche forma di condono. Il capogruppo alla Camera Cicchitto anche oggi lo ha ripetuto: se serve per arginare il debito, ben venga. Alla faccia di Tremonti, che un ironico titolo de Il Giornale definiva in “cerca del condono dai vescovi”, per l’ampia intervista concessa all’Avvenire in cui bocciava senza appello ogni ipotesi in tal senso. Chi sospetta di Tremonti trova, anche in questa intervista, la conferma della ricerca, da parte del ministro, di una interlocuzione diversa dall’attuale maggioranza, leggi un governo di transizione o un nascente partito dei cattolici.

Il fatto è, come sussurra  un ministro di peso rimasto anonimo, che non si sa “che pesci prendere” per delineare una nuova fase improntata alla crescita. Senza ritoccare le pensioni e senza condono è dura: la Lega appoggia il ministro, nessuno sembra preoccuparsi anche della ricaduta elettorale di una eventuale sanatoria. Ne succederanno di cotte e di crude, giovedì, assicura un esponente di maggioranza. Quando ogni ministro si presenterà con la sua lista di priorità. Solo Matteoli, ministro delle Infrastrutture presenterà un conto di 3, 8 miliardi per le Grandi Opere che rischiano di non essere finanziate. E poi La Russa e Maroni, che hanno avuto assicurazioni per la difesa e le forze dell’ordine, con un miliardo a testa. E Paolo Romani dello Sviluppo che con gli 800 milioni ricavati dall’asta delle frequenze per la telefonia mobile non può andare molto lontano. Infine la Gelmini, che si è scoperta all’ultimo solidale con gli studenti in rivolta e reclamerà risorse per scuola e università. Ma la sirena che spande il canto più suadente rimane sempre quella del consenso ad ogni costo: il condono, in termini elettorali, paga. Le scelte impopolari le faccia un altro governo.