Berlusconi – Fini: cosa succederà dopo lo “strappo finale”? L’analisi di Pierluigi Battista

Pubblicato il 8 Novembre 2010 - 11:40 OLTRE 6 MESI FA

Un centrodestra “oltre Berlusconi”. Per Pierluigi Battista il progetto di Gianfranco Fini è ambizioso, talmente ambizioso “da sembrare velleitario e irrealistico”. Sul Corriere della Sera il giornalista analizza lo strappo del leader di Futuro e Libertà partendo proprio dallo scontro, durissimo e inevitabile, tra il presidente del Consiglio e quello della Camera.

Fini, spiega Battista, vuole chiudere la pagina Berlusconi. “Si dà il caso però -aggiunge – che Berlusconi non sia (ancora) il passato perché è e continua a essere il leader del centrodestra, il capo del governo, il leader del partito maggiore della coalizione. Perciò lo scontro tra le ambizioni di Fini e la realtà della leadership berlusconiana non può che essere la fonte di un conflitto durissimo, violento, irriducibile, ultimativo. Una stagione politica lunga ormai più di quindici anni si sta chiudendo drammaticamente. È, deve essere, compito e responsabilità dei leader in conflitto evitare che il loro dramma non si trasformi nel dramma dell’Italia, di un Paese in crisi che rischia seriamente di sprofondare nel caos”.

Secondo Battista il governo nato dalle elezioni del 2008 di fatto già non esiste più. Ora, però, “Fini deve prendere un impegno: da presidente della Camera, faccia in modo che non ci sia una crisi extraparlamentare, ciò che stonerebbe in modo troppo stridente con il ruolo istituzionale che ricopre”. Battista quindi invita Fini a parlamentarizzare la crisi ma non sulla legge di stabilità perché “sarebbe un gioco troppo pericoloso, troppo irrispettoso per gli interessi italiani. Esporrebbe l’Italia a una pessima figura internazionale. Se sfiducia ha da essere, che sia su altri provvedimenti, non su leggi su cui l’Italia intera può giocarsi ciò che resta della sua credibilità”.

Quindi le colpe di Berlusconi. Per Battista, prima di tutto il premier ha sottovalutato la portata del malumore del presidente della Camera e quindi, “alimentato da consiglieri rancorosi e miopi” ha creduto di poter “liquidare le posizioni di Gianfranco Fini come una molesta questione personale da eliminare con un provvedimento disciplinare (il deferimento ai probiviri, nientemeno)”.

Infine il commentatore del Corriere invita Fini a  “non cedere alla tentazione di governi dai nomi più fantasiosi («tecnici», «istituzionali», «di larghe intese») che assomiglierebbero a un ribaltone e che tra l’altro regalerebbero a Berlusconi la fantastica chance di presentarsi come vittima di una manovra oligarchica e ostile al popolo che ha vinto le elezioni. Se la rottura è una cosa seria, allora Fini deve accettare di misurarsi con nuove elezioni, anche in presenza di una legge elettorale orribile. Dovrà contribuire a tracciare un percorso di uscita da una stagione politica oramai tramontata avendo come stella polare gli interessi dell’Italia, la sua credibilità internazionale, la sua stabilità finanziaria. È una porta strettissima. Ma non ce ne sono altre. È la scelta più seria, ma anche la prova della serietà con cui nasce un nuovo partito. Il resto è scorciatoia, giochino politicista, furbizia effimera. Tocca a Fini, non solo a lui, ma soprattutto a lui, imboccare la strada giusta”.