Grillo “zompa”, Casta sonnambula: l’anti corruzione uno scherzo di legge

Pubblicato il 15 Giugno 2012 - 16:30 OLTRE 6 MESI FA

Il ministro della Giustizia Paola Severino (Lapresse)

ROMA – Sarà molto difficile che il disegno di legge sulla corruzione riesca ad essere approvato entro questa legislatura, che scade a primavera 2013. Il ministro della Giustizia Paola Severino ha provato a farlo passare alla Camera con tre voti di fiducia (la 24a fiducia posta dal governo Monti), ma ha portato a casa la vittoria di Pirro di un “sì” con una maggioranza mai – da quando è premier Mario Monti – così risicata, con tante astensioni soprattutto nel Pdl. I numeri: 354 “si” contro 25 “no”, 102 astenuti contro 379 votanti. Il Pdl: 38 astenuti, 61 non partecipanti al voto, 11 in missione e 2 “no”. In pratica, su 210 deputati “azzurri”, in 112 non hanno votato il testo che aumenta le pene per i reati contro la Pubblica amministrazione e dà la delega al governo a rendere incandidabili i condannati.

I critici della “casta” segnano un nuovo punto a loro favore, soprattutto grazie all’atteggiamento suicida in cui persevera la “casta”, ovvero i partiti rappresentati in Parlamento. L’ultimo sondaggio Swg dice che il Movimento a 5 stelle di Beppe Grillo è diventato il secondo partito, col 21% dei consensi, a soli 3 punti da un Pd indebolito, anche se non quanto il Pdl, franato al 15%. Insieme i due partiti che alle elezioni politiche del 2008 avevano preso il 70% dei consensi ora raggiungono a malapena il 40%. Mentre si allarga il voto “extraparlamentare” e il non-voto: i partiti ora in Parlamento prenderebbero solo il 60% dei voti di chi è intenzionato a recarsi alle urne; a fronte del 45,8% degli italiani che afferma di non voler andare a votare.

Numeri che, insieme alla gravità della crisi economica dell’Eurozona, dovrebbero far riflettere deputati e senatori e partiti di maggioranza e opposizione. Che invece preferiscono litigare su tutto e continuare a legiferare pochissimo, come e peggio della Prima Repubblica, quando però si era protetti dall’ombrello della crescita. Ora il disegno di legge in questione avrà molti difetti, ma contiene anche norme che potrebbero fare qualche piccolo passo in avanti nella lotta alla corruzione, che ogni anno costa all’Italia 60 miliardi.

Per capire la sorte del ddl, basta guardare fra gli astenuti del Pdl: si contano nomi come l’ex ministro alla Pubblica Amministrazione Renato Brunetta, l’ex sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano, il suo ex omologo alla Difesa Guido Crosetto, Aldo Brancher e Gaetano Pecorella. Ma è dopo l’intervento in Aula del capogruppo pdl Fabrizio Cicchitto che si è capito quanto sarà in salita la strada del ddl corruzione al Senato: “Signor ministro, non ci sfidate con un’altra fiducia sulla responsabilità civile (dei magistrati, ndr) perché in quel caso il governo cadrebbe […] Uomo, o meglio donna, avvisata è mezza salvata”.

Cicchitto accusa il ministro Severino di aver messo ”le manette” ai parlamentari impedendogli con il voto di fiducia di ”fare un dibattito libero, quale un governo tecnico avrebbe dovuto consentire”. E quando annuncia che il ddl dovra’ essere cambiato a Palazzo Madama perché non solo è una norma “salva-Penati” e contro Berlusconi, ma contiene misure non gradite come il “Traffico di influenze illecite”: un nuovo reato “troppo generico” che, come si ripete da giorni nel Pdl, ”manderebbe in galera chi fa raccomandazioni” o attività di lobby. Ai pidiellini, però, piacciono poco anche gli aumenti dei tetti minimi delle pene per i reati contro la P.A. (che influiscono sulla prescrizione) e lo “spacchettamento” della concussione con “nascita” dell'”Induzione indebita a dare o promettere utilità”.

E per scongiurare il Guardasigilli a rivedere la sua “doppia forzatura”: di mettere la fiducia sul ddl e di non stralciare le parti più “scomode” del testo, i pidiellini avevano messo sullo stesso piatto della trattativa anche la norma sulla responsabilità civile dei magistrati contenuta nella legge Comunitaria, ora all’esame del Senato. Il Pdl, infatti, vuole votare la norma così come l’aveva scritta Gianluca Pini (Lega), cioè con la responsabilità diretta delle toghe e non con l’obbligo di rivalersi prima sullo Stato come prevede l’emendamento della Severino. E il collegamento tra i due provvedimenti è stato tale da far credere ad alcuni esponenti del Popolo della libertà come Stefania Prestigiacomo che la responsabilità dei giudici fosse contenuta nel ddl anticorruzione (”È punto qualificante”).

L’alzata di scudi dei pidiellini contro l’Anticorruzione e la loro volontà di cambiarlo ad ogni costo non induce all’ottimismo il presidente della Camera Gianfranco Fini, secondo il quale se il testo venisse cambiato al Senato non riuscirebbe mai a vedere la luce in questa legislatura. Il che significherebbe che per vedere fuori da Parlamento e governo i condannati per reati gravi si dovrà attendere molto oltre il 2018.