Le due vite di Cossiga, “l’amerikano” e il “picconatore”

Pubblicato il 17 Agosto 2010 - 14:23 OLTRE 6 MESI FA

Francesco Cossiga

”Io non sono matto, faccio il matto. Io sono il finto matto che dice le cose come stanno”. Era il 1990 quando Cossiga, fino ad allora un silenzioso e potente uomo politico democristiano, si trasformò di punto in bianco nel ”picconatore”. Talmente riservato e discreto era stato fino a quell’anno di svolta che molti, a vederlo improvvisamente menare fendenti, si chiesero se dietro le sue irrituali ”esternazioni” non ci fosse il germe della follia.

Due sono i Cossiga che hanno attraversato la storia dell’Italia republicana. Il Cossiga ”uno” si è occupato di servizi segreti, ha avuto la supervisione politica di ‘Gladio’ negli anni ’60, ha combattuto il terrorismo negli anni di piombo, è stato presidente del Consiglio e presidente della Repubblica, eletto il 3 luglio del 1985, venticinque anni fa, alla prima votazione.

Ma dopo cinque anni al Colle vissuti da notaio (lo consideravano talmente grigio e ”istituzionale” che nel 1985 lo votarono anche quelli del Pci) il Cossiga ”due” ha preso il sopravvento nell’ultimo biennio al Quirinale, e da allora è stato un implacabile fustigatore del quieto vivere politico. Dietro la metamorfosi di questo sassarese cugino di primo grado di Enrico Berlinguer, con un debole per le onorificenze militari (è stato nominato prima capitano di fregata grazie a una legge del 1932, e poi anche vicebrigadiere d’onore dei carabinieri e commissario onorario della polizia) c’erano i primi scricchiolii della prima Repubblica.

Cossiga pensava che il sistema, per sopravvivere, avesse bisogno di una scossa e decise che sarebbe stata lui a darla. ”Intendo togliermi qualche sassolino dalla scarpa”, fu la frase-manifesto con cui annunciò che da quel momento in avanti al Quirinale la musica sarebbe cambiata. I suoi bersagli furono la Corte Costituzionale, il Csm, i politici democristiani e comunisti, il sistema istituzionale, i magistrati (tra questi anche quel ”giudice ragazzino” Rosario Livatino sbeffeggiato per voler fronteggiare la mafia senza nessuna esperienza e che poi dalla mafia fu ucciso).

Cominciata nel 1958 con l’ingresso a Montecitorio, la vita politica di Cossiga si è snodata in gran parte lungo la direttrice della sicurezza nazionale. Ministro dell’Interno negli anni ’70 era diventato il lupo nero della sinistra extraparlamentare. I militanti del movimento studentesco scrivevano il suo nome sui muri con il ‘K’ e le due ‘s’ runiche dei nazisti: le scritte si intensificarono dopo che Cossiga mandò i blindati e i poliziotti in borghese alla manifestazione dove morì la militante radicale Giorgiana Masi.

Era al Viminale anche durante i giorni del sequestro Moro: si dimise dopo che il cadavere del presidente della Dc fu ritrovato a via Caetani: si dimise per non aver saputo trovare in tempo i responsabili del sequestro. ”Se ho i capelli bianchi e le macchie sulla pelle – disse – è per questo, perché mentre lasciavamo uccidere Moro me ne rendevo conto”.

Il punto culminante dell’attività picconatrice al Quirinale si ebbe sulla vicenda Gladio. Cossiga non esitò a svelare la genesi dell’operazione ”Stay behind”. Anche lui, da ragazzo, aveva aspettato i risultati delle elezioni del 18 aprile 1948 pronto a prendere in mano le armi se i comunisti avessero voluto tentare il colpo di Stato. Gli uomini di Gladio dovevano essere considerati come ”patrioti”. E chi non lo capiva si attirava la sua ira. Osannato dalla destra ancora missina, per i post-comunisti di Achille Occhetto era un nemico da combattere.

Cossiga è stato l’unico capo dello Stato della storia repubblicana a dover fronteggiare una richiesta di impeachment. Ma il rapporto tra Cossiga e la sinistra è stato più complesso di quanto possa apparire a prima vista: gratta gratta il vecchio ”odi et amo” riemergeva sempre. Da una parte Cossiga sbeffeggiava Occhetto definendolo ”zombie coi baffi”, dall’altra aiutava D’Alema ad andare a Palazzo Chigi dandogli i voti dei suoi ”quattro gatti”.

Pochi ricordano che Cossiga ha anche collaborato con L’Unità e ha elogiato Stalin per il contributo dato alla vittoria degli alleati. Negli anni, il suo gusto per le sparate è rimasto intatto; qualche tempo fa, suggerì di affrontare l’onda studentesca scesa in piazza contro il ministro Mariastella Gelmini infiltrando il movimento, provocando ”incidenti e devastazioni” per poi picchiarli e ”mandarli tutti in ospedale”. Paradossi o vere convinzioni? Come per tante altre sue affermazioni, solo l’enigmatico Cossiga conosceva la risposta.