De Magistris fa secessione Napoli. S’incorona re, getta moglie e nasconde mano

di Lucio Fero
Pubblicato il 13 Marzo 2017 - 14:09 OLTRE 6 MESI FA
De Magistris fa secessione Napoli. S'incorona re, getta moglie e nasconde mano

De Magistris fa secessione Napoli. S’incorona re, getta moglie e nasconde mano

ROMA – De Magistris Luigi o della secessione di Napoli dallo Stato (oltre che dalla storia e dal buon senso e dalla misura e dalla decenza ma queste, si sa, sono entità astratte, desuete, di fatto clandestine). De Magistris Luigi sindaco di Napoli? Ma per favore, non offendetelo con tanto sminuire il suo ruolo e il suo mandato. De Magistris si considera e si proclama l’unico e supremo depositario della volontà popolare della città.

La sua legge e parola “sono” la legge e la parola. Altre, caso mai avessero l’impudenza di manifestarsi, cedano il passo. Questo è De Magistris, il suo concetto di sovranità è quello di una monarchia per diritto elettorale. Monarchia in un piccolo Stato, Napoli appunto, che a prendere sul serio De Magistris, ha fatto secessione dall’Italia. Monarchia in cui vige la legge di Re Luigi, monarchia di cui De Magistris si è incoronato re. Ovviamente in nome e per conto del popolo.

Un re peraltro non particolarmente impavido, un re dell’armiamoci e partite, un re che getta la moglie (e assessori) e nasconde la mano, un re piagnucoloso e stizzoso nell’inventarsi complotti in piazza ai suoi danni. Un re magliaro nei suoi argomenti.

Per giorni De Magistris ha sostenuto che la sua volontà e giudizio di non far parlare Matteo Salvini a Napoli erano gli unici legittimi. Che non contava niente il governo, il Prefetto, la legge, la Costituzione. Che la libertà di parola e il diritto di associazione era lui, De Magistris, a stabilire e pesare se, come, quando. De Magistris si è inventato e ha venduto (molti hanno comprato) il sindaco-re. Ingordo nell’auto fascinazione, De Magistris che pure per studi e professione precedente dovrebbe conoscere le mappe della legge, si auto legittimava anche in quanto ex magistrato. Il sindaco-re con sentenza emessa da se stesso.

Ma non è solo ipertrofia dell’ego che pure c’è e deborda. E’ una perversione dell’idea di sovranità che ha invasato De Magistris ma affascina e seduce molti altri, dagli Emiliano in Puglia alle Raggi a Roma. L’idea che se ti eleggono sindaco o governatore, allora diventi il bastone più grosso, la legge più forte, l’ultima parola…il padrone.

Per giorni De Magistris ha esposto dal Municipio striscioni anti Salvini. Per giorni De Magistris ha approvato e plaudito, se non coniato, lo slogan e la parola d’ordine “Napoli desalvinizzata”. D’altra parte De Magistris era già stato l’ufficiale autore e cantore di “Napoli derenzizzata”. Non da oggi De Magistris proclama ostracismo territoriale ai cittadini italiani che non gli piacciono. E questa lezione di civismo l’ha impartita alla cittadinanza. Non da oggi ma ancora oggi: alla manifestazione che doveva zittire Salvini De Magistris annuncia la sua partecipazione.

Poi non ci va di persona ma manda la moglie e membri della Giunta. Anzi, questi ci vanno da soli ovviamente ma con la benedizione politica del sindaco-re. Cui appare una furbata esserci e non esserci al corteo. E dopo gli assalti, gli scontri, l’attacco alla polizia, un pezzo di città devastata, che dicono il sindaco e la moglie? Che era una manifestazione di buoni, pacifici e inermi che “qualcuno ha voluto finisse male”. Chi quel “qualcuno”? Non si sa ma il sindaco-re e consorte sussurrano forte sia stato un pezzo di Stato. Stato (straniero) che complotta contro regno di Napoli.

Sarebbe, è delirio e anche provocazione additare i passamontagna neri calati sul volto come Carabinieri in missione. Ma non è solo delirio, è secessione ed eversione. Delle regole, della legge, dei poteri. E anche offesa a quel minimo che è rimasto di pudore civile.

Lo stesso tipo di sfregio alle regole che, guarda caso, spesso e volentieri pratica e predica Matteo Salvini. Il ripetuto minacciare l’assedio al Parlamento, l’evocare il menar le mani, il culto della ruspa, il fare manifesto delle rom in gabbia, il proclamarsi popolo con il 14 per cento (se va bene) dei voti, l’inventarsi igiene delle città e della nazione, il conclamato sbattersene e disprezzare le leggi e le regole.

Uno solo in questa vicenda si è comportato con serietà e correttezza, non a caso quello meno apprezzato dalle cronache e meno chiamato e nominato in televisione. Il vero per fortuna protagonista di questa storia grottesca e tragicomica di sindaci-re e tribuni dell’apartheid è stato il ministro degli Interni Marco Minniti. Giustamente ha mandato la polizia a difendere in concreto la libertà di parola (che vergogna e pena quella Sinistra Italiana e dintorni che si accodava agli antagonisti, ai black bloc e che corrompe la parola democrazia e anche la parola sinistra invocando squadrismo anti Salvini). Giustamente Minniti ha detto che in Italia c’è un governo (oltre che un teatro politico con tanti commedianti) e lo ha fatto vedere che c’è un governo. E con professione da gente seria in piazza la polizia ha fatto parlare Salvini e ha disperso senza calcare la mano ma senza cedere un millimetro sui diritti politici di tutti.

Re Luigi il giorno dopo ha celebrato il trionfo del grottesco, ha insinuato, anzi detto che quelli che hanno garantito la libertà di parola e i diritti politici, quelli che hanno applicato con fermezza ma senza violenza la legge, quelli che sono stati per fortuna lo Stato, hanno tramato contro di lui. Ha inventato reparti speciali di forze oscure a deviare la manifestazione. Luigi sindaco-re, sovrano inventato e anche re da operetta. Anzi meno, da sceneggiata.