Delitto di Perugia, Guede: “Non ho ucciso Meredith, quella sera litigò con Amanda”

Pubblicato il 18 Novembre 2009 - 11:52 OLTRE 6 MESI FA

Rudy Guede, al termine di una lunga dichiarazione spontanea fatta davanti alla Corte d’Assise di appello di Perugia durante il processo per l’omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher, ha dichiarato: “Voglio far sapere alla famiglia Kercher che non ho ucciso né violentato la loro figliola. Non sono quello che le ha tolto la vita”.

L’ivoriano si è rivolto all’avvocato Francesco Maresca, che rappresenta i congiunti di Mez come parte civile. Al legale, Guede ha chiesto di far sapere alla famiglia della vittima che “l’unica cosa della quale la mia coscienza deve rispondere e per la quale nessun tribunale potrà assolvermi” è quella di non aver fatto tutto il possibile per tentare di salvare la studentessa inglese.

Nel corso della dichiarazione spontanea, Guede, che ha chiesto di celebrare il processo a porte aperte, ha ricostruito quanto avvenuto la sera dell’omicidio di Meredith, i giorni precedenti e quelli successivi. Ha spiegato di avere incontrato Meredith il 31 ottobre del 2007, nel corso di una festa in discoteca e di aver avuto con lei un appuntamento per la sera successiva.

“Le ho dato un bacino sulla guancia e poi le ho detto ‘ci vediamo’” ha spiegato l’ivoriano. Ha quindi riferito alla Corte che la sera successiva a quella dell’incontro entrò insieme alla Kercher nella casa di via della Pergola, poi teatro del delitto: “Mentre eravamo in casa – ha sostenuto Guede – Meredith cominciò a inveire contro Amanda (la Knox, sua coinquilina e imputata del delitto insieme all’ex fidanzato raffaele Sollecito). ‘I miei soldi, i miei soldi, non la sopporto più’ disse Meredith”.

L’ivoriano ha quindi spiegato di aver avuto un approccio con la studentessa inglese, ma non un rapporto sessuale. Dopo circa un quarto d’ora – in base alla sua versione – si recò in bagno. “Ho sentito le voci di Meredith e di Amanda – ha riferito ancora Guede – che discutevano dei soldi venuti a mancare. Ho sentito solo ‘dobbiamo parlare’ ma non mi sono preoccupato, perché pensavo fosse solo una discussione tra due ragazze che vivevano nella stessa casa. Mentre ero in bagno mi sono messo ad ascoltare musica da un i-pod, ma alla metà del terzo brano ho sentito un urlo fortissimo. Mi sono precipitato a vedere cosa fosse successo e in camera di Meredith ho visto una figura maschile. È stato un lampo e questa persona ha cercato di colpirmi. Sono indietreggiato e caduto in soggiorno. A quel punto ho sentito qualcuno fuori della casa che scappava e diceva ‘andiamo via, c’è un nero in casa’. Non ho avuto il coraggio di inseguirli, ma guardando fuori dalla finestra ho visto la sagoma di Amanda”.

Guede ha quindi spiegato di essersi recato nella camera di Meredith e di aver cercato di tamponare il sangue che le usciva dopo essere stata ferita mortalmente con un coltello alla gola. “Meredith era agonizzante – ha sostenuto Guede – e cercava di dirmi qualcosa, io le tenevo la mano. A quel punto sono entrato in uno stato di shock. Nella mia testa c’erano tanti perché senza risposta. Ho avuto paura. Questo, signor giudice è quanto ho vissuto. Non ho niente da nascondere e non sono un bugiardo. Chiudendo gli occhi vedo ancora rosso dappertutto”.

La difesa del giovane ha intenzione di chiedere la riapertura parziale del dibattimento per sentire nuovi testimoni e risentirne altri già ascoltati dalla Procura ma che, secondo i legali, potrebbero fornire una versione diversa da quella iniziale. Gli avvocati, inoltre, puntano anche sulla possibilità di una nuova perizia sugli asciugamani rinvenute accanto al corpo senza vita della studentessa inglese e che Guede sostiene di aver utilizzato nel tentativo di soccorrere Meredith, tamponandole la ferita al collo.

L’obiettivo della difesa è dimostrare che quella sera non fu Rudy a uccidere Meredith perché, come da sempre sostenuto dal giovane, la notte tra il primo e il 2 novembre del 2007 si trovava sì nel casolare di via della Pergola, ma quanto è avvenuto il delitto si sarebbe trovato in bagno. Una volta uscito si sarebbe scontrato per un attimo con l’assassino di Mez. Avrebbe cercato di soccorrere la ragazza ma poi, preso dalla paura, si sarebbe dato alla fuga.

Proprio per avvalorare questa tesi la difesa dell’ivoriano ha fatto svolgere una perizia dal criminologo Vincenzo Mastronardi e dallo psichiatra Alessandro Meluzzi, entrambi presenti in aula. Meluzzi, parlando con i giornalisti prima dell’inizio dell’udienza, ha spiegato come Rudy, dopo i fatti, sarebbe stato assalito da «sindrome post traumatica grave da stress» in cui “una psicologia lieve, labile ma mite come quella di Rudy ha potuto mettere in atto quel comportamento di fuga che, certamente non gli ha giovato dal punto di vista dell’attendibilità, ma che noi crediamo integralmente comprensibile e spiegabile dal punto di vista psicologico, psicologico-clinico e psico-dinamico”. “Noi crediamo – ha spiegato Meluzzi – che la nostra valutazione dia ai giudici un elemento di valutazione nuovo e diverso non solo sui fatti emersi dall’incidente probatorio, ma anche sulle ragioni e le motivazioni che hanno spinto Rudy”.