Diego Novelli: Fassino e Veltroni non erano comunisti? Pci di Berlinguer una San Vincenzo?

di Redazione Blitz
Pubblicato il 23 Aprile 2015 - 13:04 OLTRE 6 MESI FA
Diego Novelli: Fassino e Veltroni non erano comunisti? Pci di Berlinguer una San Vincenzo?

Diego Novelli

ROMA – “Ma dove sono gli eredi di Berlinguer? Dammi un nome. Uno”. Diego Novelli, sindaco di Torino fra gli anni ’70 e ’80, ha risposto così alla domanda di Silvia Truzzi se i nuovi dirigenti del Pd siano i nipotini di Berlinguer.

Non nasconde il suo sdegno, lui uomo d’altro tempi, nato a Torino il 22 maggio 1931, davanti ai casi di abiura di Piero Fassino e Walter Veltroni. Ma siamo nell’anniversario di Nicolò Machiavelli e il fatto che il suo Cesare Borgia sia assurto a paradigma del pensiero politico corrente dovrebbe spiegare molte cose.

Silvia Truzzi ha intervistato Diego Novelli per il Fatto Quotidiano:

“Mi fa tristezza anche il modo in cui si comportano tra di loro, si rimangiano le dichiarazioni. Berlinguer diceva: ‘Se il giorno dopo devi spiegare quello che hai detto, vuol dire che hai sbagliato’. Questa classe dirigente mi preoccupa,mi angoscia. Non ho nostalgia, perché considero la nostalgia un disvalore. Ho memoria però, che è una cosa diversa”.

Memoria da elefante e anche un po’ vendicativo. Raccontano che, nel luglio 1980, Novelli si recò di persona in corso Marco a Torino, dove aveva sede la direzione della Fiat, e ai due fratelli Agnelli, Gianni Agnelli e Umberto Agnelli, chiese il licenziamento del capo ufficio stampa che lo aveva criticato, nel settembre del 1979, con un gruppo di giornalisti e aveva messo il dito sulle ambiguità del Pci nei confronti del terrorismo. Era stato ucciso Carlo Ghiglieno, un dirigente Fiat, da un commando di Prima linea e l’addetto stampa aveva collegato il delitto col clima di violenza che si respirava in quei mesi a Torino. Nell’estate c’erano stati episodi di violenza, uffici Fiat invasi, dirigenti dipinti, la Flm (Fiom e altri) aveva sequestrato dei tram per fare spostare meglio le squadre d’azione. L’addetto stampa rimproverò al sindaco di avere lasciato via libera alle “squadre rosse” in estate e di presentarsi in autunno a “piangere sui cadaveri”.

La battuta fu riportata dai giornalisti presenti tra virgolette ma senza fonte. Novelli impiegò qualche mese a scoprire il colpevole e ne chiese la testa. Gli Agnelli lo congedarono con cortesia, poi chiamarono il reprobo e ci risero su. Le tesi esposte erano proprie degli stessi Agnelli che, a differenza dei molti gauleiter che si aggirano nelle aziende italiane non tremarono davanti al potere politico e coprirono il loro dipendente. Niente di straordinario nell’episodio. Conferma solo che la sindrome del potere colpisce anche le persone migliori e certamente Diego Novelli, nato a Torino 22 maggio 1931, è stato una persona onesta anzi integerrima e negli anni si è comportato anche con coerenza e dignità, doti rare anzi rarissime. Così oggi, sollecitato da Silvia Truzzi, Diego Novelli si chiede:

“E questi [la nuova dirigenza del Pd, inteso come mutazione del Pci] la memoria dove l’han messa? Presa e gettata nel cestino? Sarà davverotutto da buttare, tutto da rottamare?”

L’intervista di Silvia Truzzi occupa 2 pagine del Fatto. Ecco alcune domande e risposte.

Com ’erano gli Agnelli chiede Silvia Truzzi e anche in questa risposta Diego Novelli dimostra una indipendenza di giudizio che sfida i luoghi comuni stratificati in oltre mezzo secolo:

“Erano due persone completamente diverse,Gianni e Umberto, e secondo me Umberto Agnelli moriva 10 anni fa: gigante misconosciuto fra dovere e visione ha del credito nei confronti di Torino e anche nei confronti della famiglia. L’Avvocato era tutto scoppiettante, non ti lasciava mai parlare. Umberto invece aveva capito molte cose. Nella stanza di là abbiamo fatto una riunione, riservatissima, con lui, Luciano Lama, e il segretario della Camera del Lavoro di Torino, Emilio Pugno. E lui mi aveva mandato due giorni prima un documento, che conservo: 14 cartelle dattiloscritte. Provavo a far dialogare la Fiat con la sinistra: non mi riuscì.

Che pensa dei sindaci della sinistra dopo di lei,per esempio Fassino e Chiamparino?

“Chiamparino è uno un po’spregiudicato, un filino di cinismo in lui c’è… Poi è una persona intelligente, è uno della squadra che abbiamo allevato. Fassino, Chiamparino… li abbiamo allevati tutti noi, io, Pecchioli e Minucci. Fassino è un generoso, è un lavoratore instancabile. Anche se quando uno dichiara ‘non sono mai stato comunista’… O, come ha detto in un’intervista ‘mi sono iscritto al Pci per combattere il comunismo’…”

E Veltroni che afferma ‘non mi sono iscritto al Pci,mi sono iscritto al partito di Berlinguer’.

“Dico: ma Berlinguer cos’era, il presidente della Confraternita di San Vincenzo? Perché comunista è diventata una brutta parola? E non penso a Berlusconi. È stata stuprata dal socialismo reale, da milioni di morti. Noi da ragazzi sognavamo il socialismo poi abbiamo visto cos’era la realtà: il socialismo reale. Tant’è che, nei primi anni Sessanta, mi rifiutai di andare a fare il corrispondente a Mosca,su proposta di Mario Alicata. Per un giornalista dell’Unità andare a Mosca era come per un prete andare in Vaticano.
In Italia l’esperienza del Partito comunista non è stata una storia di gulag e dittatura. Non è stata certamente sinonimo di quelle porcherie lì! Però i rapporti con la Russia sono stati più che equivoci…Lo abbiamo ampiamente ammesso.
Gianni Cervetti l’ha scritto che prendevamo dei soldi. Come gli altri li prendevano dall’America, del resto. Ricordo una riunione del comitato centrale: io sono seduto nelle prime file, si discute del finanziamento pubblico ai partiti. Ero contrario, Berlinguer viene a saperlo. Quando entro nel salone al quinto piano del comitato centrale, mi manda Armando Cossutta. Che mi dice: ‘Sai, Enrico voleva chiederti se puoi evitare di sparare contro il finanziamento pubblico…’. ‘Ma io la penso così, Armando. Non so…’.‘ Enrico mi ha chiesto di farti sapere che noi in questo modo ci liberiamo da vecchi legami, e te lo dice uno che questi legami li ha coltivati personalmente per molti anni’”.

Lei è ancora comunista?

Perché non dovrei? Non ero comunista perché avevo la tessera in tasca, oggi non sono un non comunista perché non ce l’ho più. Mi sento un vedovo, anche se una volta mia moglie mi ha pregato di usare un’altra metafora…..

Che vuol dire oggiessere comunisti?

“Credere nei valori dell’uomo. Ti racconto un altro aneddoto. Una sera avevo un appuntamentov in Curia, con una grande personalità, un uomo eccezionale, il professor Pellegrino, il cardinale.vUn uomo dal volto ieratico, sembrava Buster Keaton. Io ero un po’giù in quel periodo. E mi lascio scappare: ‘Non ne posso più, se potessi vi pianto lì tutto. Lei ha la fede, io non ce l’ho più’.Lui mi guarda con uno sguardo feroce e risponde:‘Lei pensa che la fede sia una cosa così banale?vGuardi che la fede è un tormento, perché tutti i giorni le chiede delle verifiche sul campo. E poi non è vero che lei non crede in Dio. Se la ricorda la proprietà transitiva? A è Dio, B sono gli uomini, C è lei: C dice che non crede in A, ma dice che crede nei valori dell’uomo, cioè in B. L’uomo è Dio, perché fra i valori dell’uomo c’è Dio. Lei crede nei valori dell’uomo, nella solidarietà,nell’onestà, nell’uguaglianza. E questi sono i principi che ritrova nel Vangelo. Se la veda un po’lei’. Hai capito, che roba?”.

Anche essere un comunista è un tormento?

Certo, soprattutto quando vedi certe cose fatte da gente che si qualifica comunista.L’altra Chiesa…Ma guarda che la caricatura del Pci come mostro noioso, serio, monolitico non corrisponde al vero. Le sezioni erano posti da frequentare anche la domenica sera, per ballare. Alle 23 la musica s’interrompeva per un breve‘richiamo politico’. Undiscorso, la solidarietà ai lavoratori di una fabbrica in crisi o una lotteria. Il biglietto all’ingresso dava diritto a un’estrazione a premi. Vincevi libri o abbonamenti a Vie nuove. Le sezioni del Pci producevano iniziative in continuazione. E non solo politiche”.

A proposito delle riforme alcuni costituzionalisti hanno parlato di svolta autoritaria.

“Che ci siano degli atteggiamenti che suonano in un modo preoccupante, non c’è dubbio. Il ragazzo lo dico senza paternalismo, ma è davvero giovane – quando è iniziata la sua ascesa, l’ho seguito con curiosità. Non mi dispiaceva. Da come ha fatto fuori Letta però si capiva già molto. Troppa supponenza e scarsa tolleranza per chi non la pensa come lui. Altro che il tanto vituperato centralismo democratico!