Enrico Letta, Matteo Renzi. Governo e Pd spartiti fino ad elezioni: 2014? 2015?

Pubblicato il 10 Giugno 2013 - 05:06 OLTRE 6 MESI FA
Enrico Letta (a sin.) e Matteo Renzi: accordo in cima alla torre di Firenze (Ansa)

Enrico Letta (a sin.) e Matteo Renzi: accordo in cima alla torre di Firenze (Ansa)

Enrico Letta e Matteo Renzi hanno stretto un “patto della torre“, o una “Yalta all’italiana” per stabilizzare i loro rapporti e dividersi i compiti, tra Governo, Letta e partito, Renzi, in attesa di potersele dare di santa ragione.

Il partito è il Partito Democratico e il fatto che né Enrico Letta né Matteo Renzi vengano dalle file della gioventù comunista costituisce una  importante e confortante novità nella evoluzione della politica italiana, anche se presto Renzi e Letta dovranno fare i conti con un giaguaro ora un po’ scornacchiato ma sempre appostato nella savana, il povero Pierluigi Bersani, che invece lui comunista lo è e lo sarà fino alla morte, non tanto nel disegno politico, per sua e per nostra fortuna tramontato, ma per struttura mentale.

Dell’incontro e dell’accordo fra Letta e Lenzi danno conto Claudio Tito, su Repubblica e Maria Teresa Meli, sul Corriere della Sera, con due cronache abbastanza differenti, perché Tito appare più realista e pessimista, Meli sembra indossare occhiali con le lenti un po’ troppo rosa.

La definizione di “patto della torre” è di Claudio Tito; il riferimento a Yalta, riferito da Maria Teresa Meli, è di Beppe Fioroni, Pd ex popolare e ex Margherita,, che accusa Letta e Lenzi di volere

“spartirsi il partito e il governo del presente e del futuro”.

Secondo Claudio Tito, Letta e Renzi, saliti lassù,  in cima alla Torre di Arnolfo a Palazzo Vecchio, si sono detti:

“Siamo diversi, tra di noi possono esserci dei problemi. Proviamo a risolverli assieme”.

Così è nato il “Patto di non belligeranza”:

“L’“Accordo della Torre” assomiglia ad una sorta di clausola di salvaguardia che eviti nei prossimi mesi di far precipitare il Pd nella rissa quotidiana e di travolgere il governo che si regge su un equilibrio già precario. Entrambi sanno che il centrosinistra sarà dominato proprio dalla loro competizione. Nessuno pensa che questo sia un esecutivo di legislatura e proprio per questo è di fatto partita la corsa alla premiership. Sul lungo periodo, “Enrico e Matteo” sono destinati a dividersi. Per ora la tattica li tiene vicini, ma per il resto restano distanti”.

Secondo Claudio Tito, a un certo punto, lassù sulla torre di Palazzo Vecchio, Matteo Renzi ha chiesto a Enrico Letta:

“Ma tu mi sai dire quanto pensi di far durare questo governo?”.

Al che Letta ha risposto:

“Non lo so. La situazione non è chiara per nessuno. Come posso sapere cosa farà Berlusconi? Come posso sapere quale sarà l’esito dei suoi processi o come deciderà la Corte costituzionale. E in più cosa sappiamo del congresso del Pd, dei tempi e dei modi con cui si svolgerà?. Le tappe adesso non possono essere stabilite. Al momento dobbiamo fare in modo che i tentativi di dividerci vengano respinti. Perché noi due siamo complementari”.

Poi Letta ha chiesto a Renzi:

“Dimmi, tu hai deciso di candidarti alla segreteria?”.

Su questo, la versione di Claudio Tito è differente da quella di Maria Teresa Meli.

Tito:

“No, Renzi ancora non ha scelto se lanciare la sfida per la guida dei Democratici. È un’opzione che sta valutando, i suoi fedelissimi lo incoraggiano”.

 

Meli:

Renzi “non ha ancora sciolto i residui dubbi sull’opportunità di una sua candidatura, ma ormai sta già pensando addirittura alla squadra: «Voglio portare al Pd gente che fino ad oggi è stata lasciata fuori della porta: sindaci, presidenti di regione, giovani imprenditori. E comprendo che chi è abituato a vedere le cose sempre nello stesso modo, ad andare avanti solo con sindacalisti e funzionari, possa essere preoccupato dall’arrivo di questo mondo nel partito. Ma sarebbe sbagliato avere paura: in politica chi ha paura perde»”.

Molto dipende da quando ci saranno le elezioni. Una ipotesi, riportata da Tito è quella che vede in sequenza il congresso del Pd in autunno e

“subito la campagna elettorale e urne aperte nella primavera del 2014”.

Ma c’è di mezzo il

“semestre italiano di presidenza dell’Ue che inizierà il primo luglio del prossimo anno e terminerà il 31 dicembre. Se il governo Letta arrivasse a quell’appuntamento, le elezioni non si potrebbero che tenere nel 2015”.

C’è poi un altro timore che agita Matteo Renzi: il “ribaltone”:

“Una delle variabili che potrebbe ulteriormente modificare il “cronoprogramma” del Pd è legato al potenziale strappo di Berlusconi. L’addio del Pdl significherebbe anche l’addio a questa legislatura? La diaspora che sta emergendo dentro il Movimento 5Stelle e le tentazioni centriste in chiave antiberlusconiana che di tanto in tanto spuntano nel centrodestra, possono dar vita ad un’altra maggioranza?”.

Per Maria Teresa Meli ci sono meno problemi: l’intesa tra Matteo Renzi ed Enrico Letta,
“al di là delle letture maliziose, è foriera certamente di novità per il Partito democratico. «Siamo
una squadra», ha detto Enrico Letta a Matteo Renzi: “Quando ho finito io al governo, tocca a te”. I due hanno deciso di giocare insieme la loro partita, ed è evidente che gli altri si innervosiscano, perché capiscono che da ora in poi nel Pd le carte le daranno Letta e Renzi”.
“Letta ha dato la sua parola d’onore a Renzi che se deciderà di scendere in campo per la segreteria lui lo sosterrà: «Saresti un ottimo leader per risollevare il Pd»”.
Ma il giaguaro è in agguato:
“Ora in molti guardano alle mosse di Bersani. Che cosa potrà fare l’ex segretario per sbarrare il passo al sindaco? Nella commissione che deve stabilire le regole del congresso c’è Nico Stumpo, uomo di fiducia di Bersani, nonché ideatore e strenuo difensore delle regole delle primarie che tanto fecero discutere all’epoca del duello tra l’allora segretario del Pd e il primo cittadino del capoluogo toscano. E adesso Stumpo e Bersani pensano di fare il bis: «Potranno votare per il segretario solo quelli che si iscrivono come fu per la registrazione delle primarie della volta scorsa». L’idea di far scegliere il leader addirittura solo ai tesserati è stata abbandonata perché ci si è resi conto che avrebbe sollevato troppe polemiche e proteste in un partito che già ha i suoi bei problemi”.