Europee 2019, intervista a Marco Marazzi (+Europa): “Con Lega-M5s siamo ultimi in Ue, noi siamo l’alternativa”

di Daniela Lauria
Pubblicato il 8 Maggio 2019 - 08:08 OLTRE 6 MESI FA
Europee 2019, intervista a Marco Marazzi (+Europa): "Con Lega-M5s siamo ultimi in Ue, noi siamo l'alternativa"

Europee 2019, intervista a Marco Marazzi (+Europa): “Con Lega-M5s siamo ultimi in Ue, noi siamo l’alternativa”

ROMA – “Con Lega e 5 Stelle siamo ultimi in Europa” per crescita, occupazione e anche per gli investimenti. Ne è convinto Marco Marazzi, candidato di +Europa alle prossime elezioni europee, che così commenta a Blitz Quotidiano le ultime previsioni economiche della Commissione europea. Stime che pesano sui conti pubblici e che spingono Bruxelles ad avviare di nuovo l’iter formale di valutazione delle nostre finanze e che potrebbero portare all’apertura di quella procedura già scampata a dicembre.

A 20 giorni dal voto europeo, con i porti chiusi e crescita zero in quasi tutto il vecchio continente, queste elezioni si profilano come un momento cruciale per la democrazia in Europa. Sarà una sorta di ballottaggio tra le forze euroscettiche (in crescita a livello continentale) e gli europeisti convinti. Per la lista +Europa, alleata con Italia in Comune, sarà capolista al Centro Emma Bonino, mentre Benedetto Della Vedova guida i candidati nel Nord-Ovest e Federico Pizzarotti è capolista nel Nord-Est.

Con Marazzi, candidato di +Europa nella circoscrizione Nord Ovest, abbiamo provato a scandagliare alcuni dei grandi temi che accompagnano questo voto. Abbiamo spaziato da Donald Trump e la guerra dei dazi con la Cina alle fake news, dai migranti al sovranismo.

Marazzi, avvocato, grande esperto di diritto societario e commercio internazionale, vive e lavora a Milano ma è stato molti anni in Asia dove era Vice Presidente della Camera di Commercio dell’Ue a Shangai. La prima domanda sorge spontanea:

Perché ha scelto di candidarsi e in quali ambiti spera di mettere a frutto le sue competenze al Parlamento europeo?

“Ho scelto di candidarmi perché vedo che manca in Italia un’offerta politica composta da persone che hanno avuto un’esperienza internazionale come la mia, che comprendono anche quali sono le questioni geopolitiche che si trova ad affrontare l’Unione europea. Io sono stato per molti anni in Oriente, che è un’area del mondo con la quale abbiamo relazioni sempre maggiori e non abbiamo a sufficienza esperti di queste aree, ma ho anche studiato e vissuto in altri Paesi. Sono stato anche membro di organizzazioni internazionali come l’International Crisis Group, che è un gruppo che si occupa di risolvere i conflitti internazionali.  Poi, chiaramente, ho anche una mia motivazione personale: sono un grande sostenitore dell’Europa unita. E sono anche preoccupato, per me e per i miei figli, da questa deriva che c’è un po’ in Ue di ritorno ai piccoli Stati nazionali che pensano in qualche modo di poter contare ancora nel mondo. Dai più piccoli, fino ad arrivare alla Francia e alla Germania che pensano di avere un peso individuale che però non è quello che potevano avere 30 anni fa”.

Avete intitolato la conferenza stampa di presentazione del vostro programma elettorale “Varie ed eventuali”, facendo ironico riferimento al Consiglio dei ministri convocato lo scorso 30 aprile. E’ chiaro che vi proponete come netta alternativa alle politiche del governo Lega-M5s. Quali sono i temi che vi stanno più a cuore?

“Noi ci vediamo alternativi al governo Lega-M5s perché non distinguiamo tra i due partner al governo, li riteniamo corresponsabili delle decisioni che sono state prese fino ad ora e che, dati della Commissione europea alla mano, stanno portando l’Italia all’ultimo posto in termini di crescita. Le scelte che sono state fatte da questo governo, da quando si è insediato, sono contrarie a tutto quello che noi crediamo e sosteniamo. A partire dal reddito di cittadinanza che, così come è stato strutturato, è un incentivo al lavoro nero. In un Paese come l’Italia, che ha già questo tipo di problemi, accentuarlo mi sembra poco adatto. Magari si sarebbe potuto rafforzare il reddito di inclusione che già esisteva. Ma noi crediamo che la povertà si sconfigga attraverso misure di crescita economica e non misure assistenziali. Questa è la prima differenza col governo attuale. La seconda è Quota 100 che poi, alla fine non ha abolito la Fornero: tutto questo ripensamento è pericolosissimo per i conti pubblici ed è pure ingiusto per le generazioni più giovani che, come al solito, si troveranno un carico maggiore di debito pubblico da pagare nei prossimi 30-40 anni. Anche perché Quota 100, come dimostrano i dati, non ha raggiunto l’obiettivo che era quello di esce uno, entra un altro. Semplicemente ci saranno a carico della collettività dei prepensionamenti che sono comunque un peso ulteriore. Noi siamo completamente contrari alla politica economica di questo governo e non distinguiamo tra i due partner del governo: sono tutti e due responsabili”.

Passiamo quindi alla strettissima attualità. Con due tweet domenicali Donald Trump ha annunciato di voler nuovamente alzare i dazi sui beni provenienti dalla Cina, mettendo a rischio i negoziati sul commercio con Pechino, proprio quando sembrava prossimo alla pace e facendo crollare le borse di tutto il mondo. Cosa implica questo per l’Italia e come muoversi in ambito europeo?

“Noi di +Europa vediamo con preoccupazione questa involuzione del sistema del commercio internazionale, che sino ad oggi ha portato a grandi conquiste. Basti guardare alla distribuzione di ricchezza nel mondo, tra prima del Wto (l’Organizzazione mondiale del commercio, ndr) e quella attuale: è innegabile che la ricchezza oggi sia un po’ più ridistribuita nel mondo, nel senso che Europa e America hanno una percentuale del Pil più bassa rispetto a prima o rispetto ad altri Paesi che sono riusciti a risalire la scala dello sviluppo. Noi siamo grandi sostenitori di un sistema basato sulle regole e non sulla legge del più forte: ci siamo dati nel 1994 delle regole che sono quelle dell’Organizzazione mondiale del commercio, che servono proprio ad evitare che prevalga il più forte in controversie commerciali o che addirittura si arrivi alla guerra, come succedeva fino a 100 anni fa. Quindi, qualsiasi azione, che voglia fare Trump o l’Europa o la Cina, di contrasto a importazioni o al libero commercio internazionale deve essere fatta all’interno di queste regole. Qualsiasi cosa al di fuori delle regole, mina il sistema: magari la spunti una volta, ma dopo ti devi aspettare che gli altri facciano la stessa cosa”.

Cina e Nuove vie della seta. Agendo isolatamente dagli altri paesi del G7 e i partner europei tradizionali l’Italia si è posta in rotta di collisione sia con gli Usa che con Bruxelles, che invece da tempo sta cercando di avere un rapporto coordinato con la Cina sul tema. Ci siamo allineati con i Paesi del centro-est Europa che invece cercano rapporti bilaterali. E’ sensato pagare un prezzo politico così alto?

“Sarebbe sensato se attraverso questo MoU (il Memorandum of Understanding siglato a marzo con il presidente Xi Jinping, ndr) avessimo ottenuto dei vantaggi particolarmente importanti rispetto ad altri Paesi. Dal testo del MoU non vedo questa cosa, non vedo un atteggiamento o una preferenza data all’Italia da parte della Cina in alcuni campi. Prima che venisse firmato io stesso ho scritto articoli in cui indicavo come gli appalti pubblici in Cina fossero un settore che è completamente chiuso agli investitori stranieri, di fatto. O i subappalti in Paesi in cui la Cina sta facendo queste opere infrastrutturali. Ogni volta che ci vengono presentati questi miliardi e miliardi di investimenti in Africa e in Asia, in Medioriente e in Est Europa, se si va a guardare, nel 70-80 percento dei casi, le aziende che fanno quei lavori sono aziende cinesi. Ecco, se ci fosse stata chiaramente un’apertura alle nostre aziende per questo tipo di progetti, magari un accordo preferenziale, allora il gioco sarebbe valso la candela. Fatto, così come è stato fatto, secondo me ha un po’ incrinato un fronte comune che l’Unione europea stava cercando di portare avanti.  I Paesi del Centro – Est Europa hanno sempre cercato di conservare una propria indipendenza nel gestire i rapporti con altri Paesi, da cui nasce tutta una polemica sull’applicazione da parte loro di alcune regole europee. Hanno sempre avuto un atteggiamento meno coeso rispetto al resto d’Europa. Dall’Italia ci si aspettava forse un atteggiamento di maggiore coordinamento con gli altri partner europei, quelli tradizionali, fondatori della Cee”.

Migranti. Il leader della Lega, Matteo Salvini, si è imposto per le sue scelte in fatto di immigrazione e sicurezza. E anche sui media l’attenzione per le tragedie in mare sembra scemare. Qual è la vostra ricetta per governare il fenomeno? E come fare ad arrestare la marea dell’euroscetticismo, della paura e del populismo?

“Noi di +Europa crediamo che ci siano delle soluzioni di breve termine e altre di medio-lungo periodo. Partiamo da queste ultime perché questi fenomeni non sono risolvibili in poco tempo, la stessa proposta di mandare via 600 mila clandestini, che poi sono diventati 90 mila… Il lungo termine è quello dello sviluppo dell’Africa e noi per questo abbiamo proposto, come già fatto da Juncker lo scorso anno, la negoziazione di un accordo di libero scambio con l’Africa. Perché li vogliamo veramente aiutare e il modo migliore non sono gli aiuti che poi magari verranno intascati anche da governi poco democratici, ma consentendogli di proporre e rendere a noi quello che producono. Ecco perché troviamo contraddittoria e assurda la posizione di chi dice “Aiutiamoli a casa loro” e poi magari si oppone all’importazione di merci agricole dall’Africa perché sennò i nostri contadini ne soffrono. Nel medio lungo-termine, finché l’Africa non si sviluppa economicamente non riusciremo a risolvere il problema immigrazione. La soluzione a breve termine è chiaramente che, per bloccare l’immigrazione illegale, vanno creati dei canali legali. Canali attraverso i quali il giovane senegalese che vuole venire a lavorare in Europa non è costretto ad affidarsi ad una rete di trafficanti di uomini ed è costretto a chiedere asilo perché non c’è nessun altro modo per restare sul territorio e trovarsi un lavoro. Se avessimo delle quote annuali di lavoratori che possono essere ammessi in Europa, sarebbe una soluzione al problema che però rimane, a lungo termine, quello dello sviluppo dell’Africa”.

Alle elezioni europee avete scelto di correre da soli. C’è chi dice che avete fatto male a non accogliere l’appello di Calenda ad unirvi a “Siamo europei” e a presentare candidati nelle liste del Pd perché da soli rischiate di non superare la soglia del 4%.

“E’ sempre difficile chiedere ad un partito di confluire in liste o listoni che coprono uno spettro molto ampio dell’arco politico. La lista che ha proposto il Pd ha al suo interno persone che la pensano in modo diametralmente opposto. Noi invece abbiamo voluto fare una battaglia per cercare di affermare il nostro programma, che si inquadra all’interno dell’Alde (Alleanza liberal-democratici in Europa, ndr). Ci rendiamo conto che la popolazione italiana ha poca dimestichezza con i gruppi parlamentari europei, ma sono proprio questi che poi votano e decidono le cose al Parlamento europeo. L’alleanza dei liberal democratici europei è vista in ascesa, anche perché Macron probabilmente porterà i suoi, e noi abbiamo tutta l’intenzione di creare in Italia il referente politico di tale alleanza. Questo tipo di operazione non era possibile farla all’interno di una lista che invece fa riferimento ai Socialisti e democratici (S&D, il gruppo con cui siederanno gli eletti Pd, ndr)”.

La Commissaria europea per la giustizia, Věra Jourová, ha detto di aver ricevuto da numerosi Paesi membri la segnalazione della ripresa di campagne di disinformazione da parte della Russia in vista delle elezioni. Lei è tra i creatori del sito https://www.leuropachenonsai.it, che punta a combattere le fake news su Ue ed economia. Come pensa si possa agire a livello comunitario sul problema?

“Indirettamente c’è già stata un’azione e adesso lo stesso Facebook, negli ultimi 30 giorni, anche solo per fare delle semplici inserzioni pubblicitarie ha messo a punto tutta una verifica che prima era molto meno lunga e complessa. Questo è positivo: sono gli stessi social network che dovrebbero in qualche modo verificare, ad esempio, i profili che portano avanti campagne. La commissione europea su questo punto ha varie volte ricordato l’importanza di monitorare, ma siccome non siamo in un sistema in cui i media vengono controllati dal governo, per fortuna, è chiaro che poi viene lasciata soprattutto ai social la responsabilità di autodisciplinarsi e in qualche modo di verificare che non vi siano dei tentativi di manipolazione di informazioni attraverso finti profili. Il mio piccolo progetto non ha l’ambizione di poter contrastare tutte le fake news che girano, però sto cercando di dare una informazione un pochino più corretta e completa in pochi minuti. Il problema, lei lo saprà meglio di me, è proprio l’attention time, cioè l’attenzione che gli utenti dedicano alle notizie che, soprattutto online, è molto limitata. Perciò in poche frasi devi essere in grado di esprimere dei concetti che purtroppo a volte sono complessi. Lo sforzo che stiamo facendo con L’Europa che non sai è quello di spiegare in un post o in un video di due minuti e mezzo, perché l’euro funziona così, che non è vero che è colpa dell’Europa per queste cose, ecc. Però insomma è un progetto che va a lunghissimo termine.

Non crede quindi che l’Unione europea debba legiferare sul tema?

“Qui entriamo in un campo di cui non mi sono mai veramente occupato: quello del controllo dell’informazione. E’ chiaro che ci sono dei pro e dei contro, la Germania ha recentemente adottato delle norme sulle fake news. E’ sempre rischioso dire a qualcuno di decidere che questo è vero e questo è falso, perché poi potrebbe sempre essere utilizzato in maniera malevola. Secondo me quello che l’Ue dovrebbe fare è monitorare quando nelle campagne elettorali ci sono dei flussi di informazione o degli attacchi che vengono da fuori. Così come ci sono dei limiti a finanziamenti di campagne da soggetti stranieri, ci dovrebbero essere dei limiti a quanto questi soggetti stranieri possono influire sulle campagne elettorali. Poi la fake news di per sé è chiaro che debba essere smentita nei modi opportuni. Qui anche la stampa è responsabile: noi ci appelliamo anche al senso di responsabilità dei giornalisti, se viene fuori una notizia che poi si scopre essere non corretta o completamente falsa, è chiaro che la smentita debba avere la stessa rilevanza”.