Fenomenologia degli zelanti: Paniz, Ceroni, Santanché, Mussolini, Lassini, Mantovani…

di Lucio Fero
Pubblicato il 21 Aprile 2011 - 15:43 OLTRE 6 MESI FA

ROMA-Fenomenologia degli zelanti: a ritmo ormai quotidiano uno “zelante” alza il dito, la testa, apre bocca e segnala se stesso come il primo della classe, il più dedito e utile alla causa. Ora è un deputato, fino ad allora silente e sconosciuto, che presenta proposta di legge che blocca i processi su cui penda “conflitto di attribuzione”. Ora è altro deputato, fino a ieri semplice sindaco di Rapagnano, che riscrive la Costituzione. Oppure è un coordinatore regionale e pure senatore che organizza manifestazioni dentro e fuori il Tribunale di Milano. Oppure è un militante di seconda fila che ci “mette la faccia” sui manifesti contro i giudici brigatisti. Ora è un sottosegretario che invita a votare per chi “ha messo la faccia” su quei manifesti. Maurizio Paniz è il principe degli zelanti, è lui che per primo ha messo su carta la verità di Stato per cui Ruby era la notte della Questura la nipote di Mubarak almeno nella testa dell’ignaro, ingenuo e ingannato Berlusconi. Ma Remigio Ceroni, Mario Mantovani, Roberto Lassini e Daniela Santanché non stanno lì a “pettinar le bambole”, sono anche loro zelanti, eccome se lo sono.

Zelante è anche Alessandra Mussolini che intima a Stefania Craxi di dimettersi dal governo perché non apprezza “barzellette e festini” di Berlusconi. Per Stefania Craxi è stata usata la categoria della “ingrata”. Le è stata incollata addosso dagli zelanti. Il ragionamento è questo: Berlusconi ti ha salvata e promossa, se lo critichi sei “ingrata”. Alla figlia di Craxi non era piaciuta l’equazione, l’identificazione tra Berlusconi e Bettino Craxi che lo stesso Berlusconi ha proposto due volte in due giorni nello scorso fine settimana. La figlia di Craxi ha pensato: dalla stessa parte politica sì, ma uguali no, suo padre non era “barzellette e festini”. Ingrata: chi è stato toccato dal favore del capo deve “fedeltà”. Così gli zelanti, quelli che sfornano leggi, dichiarazioni, pensieri e azioni zelanti. Ma di cosa è fatto uno zelante, perché si riempie e si anima di zelo?

Per ottenere? Sì, certo. Ma questo è umano, fisiologico e regolare. Chi sta con il capo qualcosa ottiene se il capo comanda e non vi è nulla di strano o disdicevole. Ottengono anche i non zelanti, per ottenere è utile “zelare” ma si ottiene anche contenendo lo zelo. Per compiacere? Sì, certo: i capi amano quello che dicono sì e in particolare quelli che lo dicono prima ancora che gli venga comandato. Però l’animo umano, soprattutto se esperto di cose del mondo, sa che anche il compiacere è fatto di misura e opportunità. Altrimenti diventa scontato e perfino ridicolo anche agli occhi di qualunque capo che abbia occhi per vedere e testa per capire.

E allora perché? Perché gli zelanti, qui e ora e dovunque nel tempo e nel mondo, sono umani particolarmente adattabili all’ambiente. “Zelano” nelle forme e nella misura dell’ambiente che li circonda, quello che loro considerano l’ambiente “naturale”. E l’ambiente naturale della politica, ma non solo della politica, oggi in Italia è ambiente desertificato di professionalità e di competenza. Da che mondo è mondo si attaccano i buoi al carro del padrone, soprattutto se si ha fiducia nel padrone. Lo fanno, lo facciamo tutti. Ma tra attaccare i buoi al carro e portare il caffè a letto, infilare la pantofola, tra il nettare e il leccare il sudore del capo c’è sempre stata una barriera, una differenza: quella che passa tra i professionisti, i competenti e i senza arte né parte. E’ la differenza, il confine che gli zelanti d’Italia non conoscono più ed hanno gioosamente attraversato.