Dopo la piazza, dopo la tv, Fini scrive sui giornali: al Corriere spiega come la pensa davvero

Pubblicato il 9 Settembre 2010 - 09:09 OLTRE 6 MESI FA
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Gianfranco Fini

Ricorda che le riforme devono tenere conto dei principi fondamentali della Costituzione, esorta affinché sia salvaguardata la pari dignità di tutti gli individui e di tutte le religioni, dice implicitamente che non si può nemmeno immaginare un aumento dei poteri del premier in Italia, come vorrebbe Silvio Berlusconi, ma che semmai è più urgente conferire più poteri di controllo al Parlamento, organo che continua a vedere centrale nel nostro ordinamento democratico. Infine ricorda che il federalismo fiscale non può nascere a danno delle regioni meno sviluppate, ovvero il Sud. Dopo la piazza, dopo la tv, Gianfranco Fini decide di parlare sui giornali. E sceglie di inviare una lettera ad Angelo Panebianco del Corriere della Sera per spiegare come la pensa lui, presidente della Camera e leader del neo gruppo Futuro e Libertà, sui temi “caldi” che hanno agitato questi primi due anni di governo Berlusconi. Tutti temi su cui Fini si è trovato in disaccorso con Berlusconi e con la maggioranza del Pdl: le riforme costituzionali, in primis quelle sulla giustizia; l’immigrazione e la legge sulla cittadinanza; la riforma dell’ordinamento in senso presidenziale; il federalismo.

E nella lettera al Corriere, Fini elenca uno a uno tutti questi punti senza mai chiamarli per nome ma dicendo ma chiarendo la sua posizione a riguardo. Sulle riforme costituzionali il presidente della Camera sottolinea di aver sempre “sostenuto che qualsiasi approccio riformatore, ritenuto indispensabile da 15 anni ma mai realizzato compiutamente, non possa prescindere dall’intangibilità dei principi fondamentali sanciti dalla prima parte della Costituzione” e sul premierato forte tanto caro a Berlusconi scrive sul Corsera: “Mi preme innanzitutto ribadire che la salvaguardia della possibilità di scelta, da parte degli elettori, della coalizione di governo e la necessità di conferire maggiore incisività e stabilità all’esecutivo non devono necessariamente comportare il ridimensionamento o, peggio ancora, l’abbandono del modello di democrazia parlamentare. Il problema di fondo, semmai, è quello di aumentare contestualmente la capacità deliberativa e di controllo del Parlamento e quella decisionale del governo e di farlo in un quadro di rispettiva ed armoniosa crescita dei ruoli, per garantire una più efficiente funzionalità del sistema che non può esaurirsi, come sempre più spesso si sostiene, nel momento elettorale”.

Per il resto dell’intervento Fini sostiene la necessità di tutelare quello che definisce un “patrimonio condiviso” degli italiani, ovvero “la pari dignità delle persone, l’eguale libertà delle confessioni religiose, la piena libertà di espressione e di associazione, l’autonomia delle formazioni sociali, la dimensione ‘universalistica’ dei diritti sociali”.

Poi sul federalismo sostiene che esso “non si deve configurare semplicemente come l’assetto dei poteri più rispondente all’obiettivo di valorizzare la diversità delle culture e delle tradizioni nei diversi territori”. E per quanto riguarda il federalismo fiscale, osserva, “non può comportare che il passaggio da un sistema di finanza derivata (basato sul cosiddetto criterio della «spesa storica», che, per troppo tempo, ha consentito lo sperpero di denaro pubblico) ad un sistema che dovrà far leva sul cosiddetto ‘costo standard’ (vale a dire sull’effettiva quantificazione della spesa dei servizi offerti ai cittadini di tutti gli enti territoriali) avvenga in modo disgiunto dal corretto funzionamento di meccanismi di perequazione, in grado, se gestiti a livello centrale e in modo imparziale, di ridurre il divario esistente, e non più tollerabile, tra le aree del Paese maggiormente sviluppate e quelle affette da ritardi storici”.