Fini: “Chi ruba pensa solo a sé, non al partito”

Pubblicato il 15 Febbraio 2010 - 18:27 OLTRE 6 MESI FA

«Oggi chi ruba non lo fa per il partito ma perché è un ladro». Lo afferma il presidente della Camera Gianfranco Fini, intervenendo a un convegno alla Luiss e rifiutando un parallelo fra gli episodi di corruzione attuali e quelli di Tangentopoli. «Non so se oggi c’è una questione morale, indubbiamente il malvezzo e la corruzione ci sono, ci sono sempre stati e ci saranno», aggiunge la terza carica dello Stato.

«Non condivido la tesi di chi dice che è più o meno come era prima di Tangentopoli, quando chi raccoglieva le tangenti diceva che servivano alla politica – continua Fini -. Spero che nessuno voglia sostenere che la politica è marcia perché ha bisogno di tanti soldi. La realtà è diversa. I grandi partiti del passato avevano in ogni città decine di impiegati e strutture che non esistono più. C’era il peso mastodontico di questi apparati. Oggi non c’è più».

Secondo il presidente della Camera «oggi ci sono tanti episodi di tangenti e corruzione», ma chi li compie «deve essere chiamato come merita: volgare lestofante». Poi Fini passa a parlare della questione incompatibilità: «È una storia che sta superando la soglia della decenza. Si vuol essere contemporaneamente parlamentari e sindaci o consiglieri regionali. È già difficile fare bene una cosa – spiega Fini – figurarsi due o tre».

Alla domanda di uno studente sul peso del suo passato da giovane di estrema destra, il presidente della Camera ha risposto: «Il passato pesa sempre. Ma più passano gli anni e maggiori sono le occasioni per riflettere su quello che abbiamo detto prima, e qualche volta per rivedere i giudizi».

Poi un attacco diretto all’attuale legge elettorale. «Non la difendo, anche se non vorrei che si pensasse che era meglio quando c’erano le preferenze. Se dipendesse da me tornerei al breve periodo del collegio uninominale, un collegio elettorale più piccolo e dove i candidati potevano essere valutati dai cittadini». Certamente, per il presidente della Camera quella attuale «non è certo il tironfo della partecipazione».

Verdini. In serata l’onorevole Denis Verdini, coordinatore nazionale del Pdl (citato nelle intercettazioni nel caso del G8 della Maddalena) è stato sentito nella procura di Firenze. Verdini è stato accompagnato dal suo avvocato Marco Rocchi.

All’uscita il coordinatore del Pdl ha rivelato di essere indagato  per il reato di concorso corruzione. Verdini ha però assicurato di aver dimostrato la sua «più totale estraneità all’accusa» durante l’interrogatorio di oggi in Procura.

«Dopo aver letto che il mio nome compariva per fatti marginali nell’inchiesta condotta dalla Procura di Firenze in merito agli appalti per le opere emergenziali affidate alla gestione della Protezione civile – ha detto Verdini – e dopo aver saputo dai giornali che il mio telefono era stato intercettato indirettamente, per una serie di colloqui con gli indagati, uno dei quali, Riccardo Fusi, è un mio carissimo amico da molti anni, ho chiesto al mio avvocato di verificare i fatti presso la magistratura. In questo modo ho appreso di essere stato iscritto nel registro degli indagati per il reato di corruzione».

«La vicenda che mi veniva contestata – ha aggiunto il coordinatore del Pdl – riguardava solo ed esclusivamente la segnalazione per la nomina di Fabio De Santis a Provveditore delle opere pubbliche per Toscana, Umbria e Marche. Ho quindi chiesto e ottenuto la disponibilità del Procuratore della Repubblica di Firenze ad essere ascoltato quanto prima, cosa che é avvenuta questo pomeriggio di fronte ai pubblici ministeri Giuseppina Mione e Giulio Monferini, titolari dell’inchiesta, ai quali ho fornito serenamente e con la massima trasparenza le informazioni richieste, illustrando le motivazioni del mio intervento come unicamente riconducibili al tentativo di risolvere il problema del danno erariale conseguente all’appalto per la realizzazione della scuola Marescialli e carabinieri a Firenze. Ho quindi dimostrato – ha concluso Verdini – la mia più totale estraneità all’accusa».