Fini le canta a Berlusconi: sul partito, sulla Lega, sui diritti, sulla sua figura di editore

Pubblicato il 22 Aprile 2010 - 13:42 OLTRE 6 MESI FA

E venne il giorno di Fini. Non si sa a quali conseguenze porterà la sua posizione eretica nel Pdl, ma è certo che il presidente della Camera, per la prima volta in pubblico, ha vuotato il sacco esternando tutta l’insoddisfazione politica e la frustrazione personale nei confronti del premier. Che ha contestato apertamente, sin dalle battute iniziali, con il garbo del politico consumato, ogni parola una stilettata, fino ad accusarlo di aver dato al paese la sensazione che qualcuno voglia solo l’impunità. E quel qualcuno è Berlusconi. Apriti cielo, il premier si agita, sbuffa, interrompe.

Ha attaccato subito dileggiando la regia della Direzione Nazionale, che “puerilmente” ha inscenato il falso film dell’armonia e della concordia. Ha ribattuto alla requisitoria del fido Bondi e gli ha ricordato gli attacchi subiti dai giornali amici. E chi li paga i direttori di quei giornali? I famigli di casa Berlusconi. A cui fischiano le orecchie e subito mette mano al microfono. Spento. Anche questa è una fotografia illuminante della poca dimestichezza del leader carismatico alle prese con un convegno di partito. L’allergia a essere contraddetto è palese.

Fini non tradisce emozioni e snocciola i punti di dissenso. “Le mie riserve non possono essere derubricate a differenze caratteriali”:  è una preghiera all’assemblea perché rispetti la politica, le diverse valutazioni. Nel Pdl  nessuno aveva mai invocato il dibattito.

E dibattito sia. Il Pdl ha perso lo smalto degli esordi, ha tradito la vocazione iniziale. I numeri non si contestano: la coalizione ha vinto – dà ragione al coordinatore Verdini –  ma il Pdl ha vinto solo al Sud, al Nord ha perso. A Roma veramente si può credere che il pasticcio delle liste sia il risultato di un complotto di giudici e sinistra?

Il rapporto con la Lega è squilibrato e sono i voti  a dirlo. Al Nord si è favorito un alleato per vincere le elezioni ma adesso la Lega è al 29% mentre nel 2005 era solo al 16%.

Sul federalismo poi va giù duro. Sembra di sentire Giovanni Sartori sul Corriere della Sera: quanto ci costa questa riforma? Come andrà a regime, chi ci perde e chi ci guadagna?

Infine l’affondo sulla politica della giustizia, quello davvero indigeribile: il Cesare italiano ha trovato chi aspiri al ruolo di Bruto, anche se non è chiaro chi sarà a finire accoltellato.