I finiani tirano il freno e smentiscono l’ipotesi di dar vita a gruppi autonomi

Pubblicato il 18 Aprile 2010 - 15:46 OLTRE 6 MESI FA

«Nessuno ha mai detto che dovevamo fare un gruppo autonomo al Senato». Alcuni senatori ex An, al termine di un lungo pranzo, smentiscono le voci e le notizie circolate in questi giorni sulla possibilità che alle Camere i parlamentari vicini al presidente Fini, possano dar vita a gruppi autonomi nel caso in cui la frattura tra il presidente della Camera e il premier Berlusconi non venga ricomposta. Lo fanno con un documento unitario sottoscritto da 14 senatori ex An di stanza a Palazzo Madama e poi consegnato ai cronisti.

«Al momento – spiega Andrea Augello – nessuno parla di gruppi autonomi, anche perché francamente non è chiaro chi lo ha detto e non è chiaro da chi e rispetto a chi dovrebbero essere autonomi». I senatori più vicini a Gianfranco Fini, a cui esprimono «solidarietà» per gli «ingenerosi giudizi» piovutigli addosso, sembrano dunque tirare il freno a mano. Ben venga infatti l’approfondimento e la «discussione attenta» sulle «questioni» importanti poste al premier dal presidente della Camera, ma nessuno parli di «scissioni ed elezioni anticipate».

«Escalation» incomprensibile «per noi e per l’opinione pubblica, che si aspetta invece una fase più incisiva dell’azione del nostro governo».  Per  i 14 parlamentari ex An «bisogna riportare il confronto su un piano costruttivo, isolando quanti, più o meno consapevolmente, stanno in queste ore lavorando per destabilizzare il rapporto tra i cofondatori del Pdl».

In bella mostra le 14 firme, anche quelle di chi non è presente per colpa della nube islandese: Laura Allegrini, Andrea Augello, Mario Baldassarri, Cesare Cursi, Candido De Angelis, Egidio Digilio, Maria Ida Germontani, Giuseppe Menardi, Antonio Paravia, Franco Pontone, Maurizio Saia, Oreste Tofani, Giuseppe Valditara, Pasquale Viespoli.

L’unica certezza è che si sta cercando in queste ore di trovare una soluzione che accontenti tutti, come fa intendere Gianni Alemanno: «Stiamo lavorando affinché ci sia una ricomposizione e, alla fine, il Pdl rimanga unito». Anche per evitare che Fini vada incontro a una figuraccia qualora le adesioni siano inferiori a quelle sbandierate. Occhi puntati alla direzione nazionale giovedì prossimo, quando Fini spiegherà agli italiani la sua posizione, aprendo «un dibattito che ci consentirà di articolare e aggiornare un progetto di rilancio del Pdl».

Si guarda pure al Congresso del prossimo anno, ma da qui a rimettere mano a cariche di partito e governo ce ne passa, vista l’assoluta chiusura mostrata dal premier.