Pensioni d’oro “impostura semantica”. Franco Abruzzo: frutto di contributi

Pubblicato il 3 Marzo 2014 - 07:04 OLTRE 6 MESI FA
Pensioni d'oro "impostura semantica". Franco Abruzzo: frutto di contributi

Franco Abruzzo. Le pensioni d’oro sono una “impostura semantica”

Quella delle pensioni d’oro e dei pensionati d’oro, afferma Franco Abruzzo, è

“un’impostura se­mantica odiosa inventata dai mass me­dia, cioè dalla nostra stessa categoria, perché tenta di far passa­re per ladri e affamatori del popolo uno sparuto gruppetto di onesti cittadini che si limitano a riscuotere ogni mese i frutti dei loro sudatissimi contributi, versati per anni e anni ai rispettivi istituti di pre­videnza”.

Franco Abruzzo è presidente della Unpit (Unione nazionale pen­sionati per l’Italia), e, scrive Stefano Lorenzetto, che lo ha intervistato per il Giornale,

“ha subito potuto toccare con mano l’odio sociale che circonda l’au­reo ceto cui, a torto o a ra­gione, appartiene: «La set­timana scorsa il mio sito è stato bloccato per tre vol­te dagli hacker. Ormai ac­cade un giorno sì e uno no. A Capodanno una mail fasulla ha fatto cre­dere ai 73.150 iscritti della mia mailing list che mi trovassi in vacanza negli Emirati arabi uniti e che fossi stato derubato di passa­porto e carte di credito. I pirati informati­ci chiedevano l’invio tramite Western Union di soldi che mi sarebbero serviti per pagarmi l’hotel.In realtà non mi ero mai mosso dalla mia casa di Sesto San Giovanni».

Per fermare la caccia all’untore, l’Unpit ha lanciato una petizione sul Web in difesa delle pensioni d’oro scatu­rite da contributi di platino. In pochi giorni sono state raccolte oltre un miglia­io di firme.

«Di più non servono: a Giu­seppe Garibaldi bastarono i Mille per fa­re l’Italia. Sono nato nelle terre bagnate dal sangue dei fratelli Attilio ed Emilio Bandiera e cresciuto ascoltando i rac­conti dei reduci della Grande guerra. Al­le elementari avevo per compagno di banco un profugo istriano, Enzo, la cui famiglia era fuggita da Pola. Un giorno andammo in gita scolastica a Paola e lui, vedendo il mare, scoppiò a piangere: credeva che fosse il suo Adriatico. Ecco, la mia coscienza nazionale nacque quel giorno. Non prenderei mai le difese di un italiano contro un altro italiano».

Stefano Lorenzetto ha chiesto a Franco Abruz­zo: Ha gli incubi?

«Certo. Di notte, nel sonno, mi vedo co­me un clochard, con la barba lunga, mentre giro per le vie di Atene».

Non starà esagerando?

«Non direi. Un alto funzionario greco, che riscuoteva 4.700 euro di pensione al mese, ora ne percepisce 1.200. Oltre ai ta­gli già introdotti dagli ultimi governi, al­le Camere giacciono sei proposte di leg­ge e sette mozioni per falcidiare le pen­sioni. Esclusa Forza Italia,non c’è parti­to che non punti a ridurci in bolletta».

Come si spiega tanto accanimento?

«I pensionati sono diventati il Banco­mat del governo. A partire dal 2008, i poli­tici hanno applicato la battuta di Ettore Petrolini: “A chi le tasse? Ai poveri, che sono tanti”. A chi succhiare quattrini per ripianare il deficit statale? Ai pensio­nati, che sono tanti: 16,8 milioni. Con l’aggravante che vivono per conto loro, isolati. Non esiste la fabbrica dei pensio­nati. Non hanno rappresentanza. Puoi rapinarli: tanto, sono disarmati».

E lei ha deciso di difenderli.

«Non solo io.Nell’Unpit ci sono prefetti, magistrati, medici, manager, avvocati, ufficiali delle forze armate, alti dirigenti dello Stato. E giornalisti, ovviamente».

Se ci sono i giudici, vittoria garantita.

«Fra i soci abbiamo un ex procuratore ge­nerale della Cassazione e un ex presi­dente della Corte dei conti, che prende una pensione calcolata solo su 40 anni pur avendo lavorato per 55, perché il me­todo retributivo stabilisce così».

Ma quanti sono i pensionati d’oro?

«Pochissimi: 38.000. Mia moglie, vicen­tina della Valdastico, ha commentato con il buonsenso tipico dei veneti: “Non sapevo di aver sposato un ricco”. Quel complemento di specificazione, “d’oro”,va cancellato.Siamo pensiona­ti e basta. Vogliamo fare il mio caso?».

Facciamolo.

«Ho versato per 40 anni contributi che ammontavano al 30-33% dello stipen­dio lordo. In busta paga negli ultimi tem­pi ricevevo 9,7 milioni di lire netti per 13,5 mensilità, perciò il mio stipendio lordo era di 230 milioni di lire l’anno,sen­za contare gli oneri aziendali. Ogni anno lasciavo nelle casse dell’Inpgi, l’Istituto nazionale previdenza giornalisti italia­ni che oggi mi eroga la pensione, oltre 5 milioni di lire al mese. Non bastano?».

Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, pensa di no.

«Grazie alla nostra rivolta, la Meloni ha perso. Voleva abolire i trattamenti supe­riori di 10 volte al minimo dell’Inps, quindi 5.000 euro lordi, cioè 3.200 netti al mese. Un disegno di legge demenzia­le e­ demagogico che è stato bocciato per­fino dalla sinistra. Ma dove ha studiato?”