Bob Geldof contro l’Italia: “Impegni non mantenuti sugli aiuti all’Africa”

Pubblicato il 25 Maggio 2010 - 11:06| Aggiornato il 26 Maggio 2010 OLTRE 6 MESI FA

Bob Geldof

Nella giornata mondiale per l’Africa il musicista Bob Geldof lancia un nuovo anatema contro l’Italia. In effetti, il report del 2010 che verrà reso pubblico martedì 25 maggio, indica che l’Italia nel 2009 anziché aumentare gli stanziamenti a favore del continente nero li ha tagliati di 238 milioni di euro. La crisi, certo: solo che le promesse fatte dell’esecutivo durante il G8 a L’Aquila erano diverse.

Secondo le stime di “One” (l’associazione rappresentata da Geldof) alla fine del 2010 gli aiuti italiani saranno ridotti del 6 per cento rispetto ai livelli del 2004. Diverso, invece, il trend degli altri Paesi che, nella stessa data, avranno raggiunto il 61 per cento di aumento degli aiuti, così come si erano impegnati a Gleneagles nel 2005: un aumento annuo di 9,8 miliardi di euro rispetto al livello che era stato previsto per la fine del 2010.

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, invece, si era personalmente impegnato ad aumentare gli aiuti nella misura dello 0.51% del prodotto interno lordo entro il 2013. Ma di questa cifra, sempre secondo la “One” non c’è traccia nelle cifre reali. E l’associazione di Geldof non l’ha presa bene arrivando addirittura, per bocca del suo direttore per l’Europa Oliver Bunston, che «Berlusconi deve essere escluso dal G8 per aver del tutto disatteso le promesse fatte a favore dei più poveri del pianeta».

Sul problema degli aiuti all’Africa, in ogni caso, la questione è complessa e BlitzQuotidiano, già a luglio scorso, aveva dedicato al tema un lungo commento. Un errore c’è stato, in tutto dei tanti G8, da parte del forse un po’ troppo facilone Berlusconi e del suo ministro degli esteri dell’epoca, nell’aderire a una iniziativa, quella di devolvere l’equivalente di mezzo punto di prodotto lordo nazionale agli aiuti ai paesi africani.

Subentrato poco dopo a quello di Berlusconi, il governo di sinistra di Romano Prodi, stretto, come tutti i governi a prescindere dal loro colore, dai vincoli imposti dal trattato europeo di Maastricht, non ha trovato di meglio che mettere da parte gli impegni del predecessore, in attesa di tempi migliori. Tornato Berlusconi, c’è da credergli, una volta tanto, quando dice che il ministro delle finanze, Giulio Tremonti, gli ha impedito qualsiasi versamento sul conto Africa: sarebbe obiettivamente difficile fare ingoiare agli italiani,destra e sinistra, un aumento di tasse così motivato; o negare ai sindacati degli statali un aumento di stipendio per questo.

C’è anche di più, oltre al piccolo calcolo politico. Non perché aiutare i più poveri non sia una cosa giusta, anzi. Ma quando questi poveri i soldi che gli dai, invece che impiegarli per combattere la miseria che li affligge, li usano, nel migliore dei casi, per rimpinguare i loro conti esteri, nel peggiore, per comprare armi (da alcuni degli stessi paesi che li hanno aiutati, ovviamente). La grande quantità dei paesi africani sta (in buona compagnia con altri continenti) al top delle varie classifiche mondiali sulla corruzione. Un giornalista del New Yorker, dovendo intervistare il sindaco di Lagos, in Nigeria, ha avuto l’appuntamento a casa del sindaco, ma non a Lagos: a Londra, in una delle strade dove le case costano il doppio che  a Milano o Roma.

Come ha scritto il giornale inglese Guardian (sinistra dura e pura) in tempi non sospetti (1998), il problema della povertà in Africa non si risolve con interventi finanziari. Bisogna creare sviluppo e posti di lavoro e per questo l’Africa, un continente ricchissimo, ha tutte le risorse. Peccato che se le portino via, senza o quasi pagare le giuste tasse, quelle multinazionali che hanno poi sede in quei paesi, soprattutto Inghilterra e America, che ora spingono perché anche gli altri “ricchi” mettano mano al portafoglio. Senza interventi strutturali, noi pagheremmo le tasse per favorire non i poveri africasni sfruttati, ma le multinazionali che li sfruttano.

Il fatto che il Papa abbia parlato a favore dell’iniziativa non stupisce: l’Africa è per la Chiesa il maggiore territorio di missione e con quei governi, corrotti fin nel midollo, ci deve venire a patti.

Non stupisce nemmeno che la causa sia al centro dell’attività caritatevole di due irlandesi di Dublino, il cantante  Bono degli U2 e l’ex cantante Bob Geldof, dei Boomtown Rats. In realtà non si riesce a capire se lo fanno a loro spese (Geldof ha un patrimoni valutato in 30 milioni di sterline, con le case inbtestate a società offshore. Così se noi paghiamo le tasse per l’Africa, lui che le vuol fare pagare a noi, non le paga: armiamoci e partite); o se  invece qualcuno gli rimborsi gli elevati costi derivanti dall’essee sempre in giro per il mondo a perorare la causa.

È imbarazzante, per un italiano che non ha votato Berlusconi, leggere sulla Stampa il resoconto di un incontro a Palazzo Chigi tra il nostro primo ministro e Geldoff. Arrivato in fondo, non puoi non essere solidale con Berlusconi.

La lettura è imbarazzante per l’arroganza di uno che non ha nella sua storia personale (tra moglie e figlie) nulla da insegnare a nessuno, imbarazzante per il tono e l’aggressività, ma anche per l’insistenza di Geldof sul tasto della opportunità di mercato che l’Africa rappresenta. Pensava di parlare a un businessman internazionale (Berluconi, si sa, non nuota molto bene in acque extraterritoriali e la cosa non deve averlo colpito molto)? Oppure quello è l’obiettivo finale dei referenti internazionali dell’ex cantante? Berlusconi, un po’ in difficoltà di fronte alla veemenza di Geldof, è stato bravo. Ha chiesto scusa, ma questa volta non ha preso impegni: devo sentire Tremonti, ne parlerò con Obama…