Annuncia il suo addio dall’antimafia perchè “mi proteggono a chiacchiere e non nella realtà”. Perchè dice, la sua incolumità è stato sempre un «problema» di cui ben pochi si sono occupati. A parlare è il pm della Direzione distrettuale anti mafia catanzarese Gerardo Dominjanni, nei confronti del quale, secondo quanto ha riferito un pentito, c’era un progetto di attentato da parte delle cosche di Lamezia Terme, la zona di cui il magistrato si occupa dal 2000.
Lascio «non per paura – racconta – ma perché ho notato che intorno al problema della mia sicurezza c’è stata una certa sottovalutazione e non da oggi».
«Episodi gravi – aggiunge il magistrato – ce ne sono stati anche in passato e non ho mai pensato di abbandonare la Dda. Il progetto di attentato ai miei danni è solo l’ultimo episodio. Da tempo, anche da prima di conoscere questo progetto, ho segnalato a chi di competenza che c’erano problemi per la mia sicurezza. Per rendersene conto e capire che sono a rischio era sufficiente leggere gli atti e le sentenze delle inchieste sulle cosche lametine. Basta pensare che prima del mio arrivo, l’ultima condanna per mafia risaliva al 1992».
«Ho avuto la sensazione – prosegue Dominijanni – che a Catanzaro il problema della sicurezza sia visto come un fastidio piuttosto che come un modo per garantire tranquillità a chi si occupa di indagini delicate. A me è stata tolta l’auto blindata da un giorno all’altro. Adesso mi è stata riassegnata, ma ancora non conosco i motivi per cui mi era stata tolta».
«Lo Stato – aggiunge Dominijanni – si preoccupa di sistemare le carte, ma nei fatti poi, le cose vanno in maniera diversa. La Prefettura di Catanzaro ha stabilito, due anni fa, che la mia abitazione, così come avviene per tutti coloro che sono a rischio, fosse dotata di difese attive e passive, ma niente di tutto questo è stato fatto. Non solo. Formalmente ho la scorta per 24 ore al giorno, ma quando sono a casa se devo uscire devo farlo con la mia auto».
«In definitiva, quindi – conclude Dominijanni – la mia decisione di lasciare la Dda non è stata determinata dalla paura, ma dalla presa d’atto delle difficoltà a garantire la mia sicurezza».