ROMA – Mario Monti ha una sorpresa per i partiti, e non è la lista dei ministri di un governo di soli tecnici. I partiti, i cinque entrati in Parlamento dopo il voto delle urne e non i 24 formatisi fra Camera e Senato durante il lento dissolvimento del governo Berlusconi, gli hanno dato tutti, sulla carta, la fiducia. Tutti tranne uno: la Lega Nord, che torna entusiasticamente all’opposizione.
La politica presente in Parlamento ha dato fiducia al “tecnico”, ma non ha voluto dare al governo del tecnico neanche la minima connotazione politica. Niente Giuliano Amato ministro degli Esteri e niente Gianni Letta vicepremier: ufficialmente, per il gioco dei “veti incrociati”, perché Pd e Pdl si sono odiati troppo (ma Amato e Letta no) per poter sedere insieme allo stesso governo. In realtà perché nessuno vuole mettere la bandierina del proprio partito sulle riforme che Monti intende fare. Nessuno vuole perdere un voto alle prossime elezioni, e se Monti facesse troppo il “cattivo”, gli si può sempre fare lo scherzo di levargli da sotto la poltrona su cui è seduto, facendo mancare la maggioranza di cui il suo governo ha bisogno. Allora lo si aspetta al varco, decidendo di volta in volta se dire sì o no a questa o quella riforma, come ha sinceramente ammesso il segretario dell’Idv Antonio Di Pietro.
Ma Monti, per i detrattori un borioso e per gli ammiratori uno deciso, ha pronta la contromossa: nel discorso in cui chiederà ai partiti di votare la fiducia al suo governo metterà dentro tutto quello che intende fare, tutto: pensioni, lavoro, patrimoniale, liberalizzazioni, preannunciando che il suo piano anticrisi si esplicherà in un’azione “one shot”, in un colpo solo, un maxi-decreto da mettere sul tavolo del primo consiglio dei ministri utile.
Cosa succede ai partiti? Che chi dirà sì al governo Monti non potrà dire di averlo fatto “a sua insaputa”. Non sarà un sì a scatola chiusa ma a scatola “aperta”, a un presidente del Consiglio che squadernerà subito il pacchetto di riforme che vuole fare, precisando che sarà un pacco unico. Chi vota sì a Monti vota i cavoli amari del “taglierò” e del “riformerò”. Non la melassa dei “forse farò” e dei “non toccherò”.
Cosa vuole evitare Monti? Lo stillicidio al quale sono stati sottoposti i governi che lo hanno preceduto, che cercando di fare una riforma alla volta non sono riusciti a farne nessuna, dovendo ogni volta scontrarsi con questa o quella categoria colpita dal provvedimento in discussione in Parlamento. Ma Monti ha parlato subito di “privilegi da togliere” e di “equità”, intendendo con quest’ultimo concetto che tutte le categorie sociali saranno equamente toccate dall’azione anti crisi del governo.
Cosa vuole ottenere Monti? Che i partiti, una volta detto sì a un menu indigesto per gli elettori, gli diano tempo. Vuole arrivare al 2013, ma senza l’appoggio della politica non ce la può fare. Se Pd e Pdl gli hanno negato l’ingresso nel governo dei loro uomini, lui li vuole legare comunque a sé nell’abbraccio mortale dell’impopolarità. Votate ora la patrimoniale e la riforma delle pensioni? Cercherete dopo di andare al voto più tardi possibile, per far dimenticare agli italiani i sacrifici che gli avete chiesto.
Questo, più o meno, e l’azzardo di Monti. Ma se i partiti non vorranno accettare la scommessa, il suo governo verrà ammazzato in culla dal primo passaggio parlamentare: la fiducia.