Gramsci revisited: secondo Canfora, Togliatti censurò ma salvò la sua opera

Pubblicato il 4 Febbraio 2013 - 14:34| Aggiornato il 25 Maggio 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – I Quaderni di Gramsci erano trenta, non ventinove come risulta dall’edizione ufficiale dei famosi taccuini (esclusi i quaderni di traduzioni e del trattato di linguistica). Le lettere della cognata e dello stesso Togliatti pochi giorni dopo la morte di Gramsci, documentate da Franco Lo Piparo nel suo ultimo saggio “L’enigma del quaderno”, Donzelli, confermano le ipotesi circa la scomparsa di un fondamentale taccuino, avallano l’idea di una revisione filologica ex post dell’opera scritta in carcere con le tracce delle forbici censorie del Migliore. Luciano Canfora, storico e detective degli “anni sgradevoli” (a cavallo tra anni ’20 e ’30), non si strappa i capelli per la scoperta, che anzi giudica meritoria, ma invita a circoscriverne la portata, con l’augurio forte unito alla speranza che all’Istituto Gramsci si recuperi un po’ di serenità e rigore filologico (Corriere della Sera, 4 gennaio).

Togliatti censore di Gramsci: e allora? Questa la posizione, in soldoni, di Canfora che, lungi dal sottovalutare la portata dei contributi su genesi e fortuna editoriale dei Quaderni, prova a restituirne il complicatissimo contesto storico e la relativa difficoltà metodologica (“in filologia si chiama la recensio dei testimoni conservati e perduti”). Insomma, i custodi, i continuatori, gli esegeti dell’opera di Gramsci non si straccino le vesti perché sulla storia del quaderno mancante (e imbarazzante per il Pci clandestino in Italia) ci sono le impronte digitali di Togliatti che in qualche modo incrinano la “storia sacra”. Tutti gli altri, d’altro canto, cosa sperano di dimostrare quand’anche fosse acclarato definitivamente che il Migliore ha aggiustato quei testi?

La spy-story in cui si è trasformata l’inchiesta relativa agli oscuri intrecci degli anni 20 e 30 (l’epocoa delle “rivoluzioni concorrenti” e in cui ebbe la meglio il fascismo sul comunismo) rivela più sulla temperie storica che sulla vicenda in sé. A Canfora, rispetto a Gramsci, basta sapere che era un intellettuale comunista eretico in tempi di ortodossia: questo il lascito problematico, questa la dote politica. Quanto, invece alle scelte più o meno obbligate, le reticenze, le fallaci e contraddittorie testimonianze orali, il quadro illuminato dalla storiografia è necessariamente mosso, alterato e sfigurato dagli opportunismi del momento.

Sintetizzava il problema il professor Giulio Ferroni, in un articolo di elogio alle posizioni soprattutto di Canfora (il cui ultimo contributo sulla vicenda si chiama “Spie, Urss, antifascismo. Gramsci 1926-1937” Salerno):

“Se quella prima ricezione (la pubblicazione dei Quaderni da parte di Togliatti nei primi anni del dopoguerra) ebbe luogo al prezzo di vari tagli e censure […], Canfora ci invita comunque a riconoscere il merito dello stesso Togliatti per il suo aver saputo, con «salutare prudenza», mettere in salvo l’eredità «letteraria» di Gramsci «in quegli anni micidiali».

Posizione, quella di Ferroni, che Canfora accomuna a quella di Massimo D’Alema che partecipando a un dibattito su Gramsci buttò lì, a mo’ di battuta: “Non me lo vedo un Togliatti che distrugge un Quaderno, piuttosto lo conserva per un tempo successivo”.  Occultamenti e ripescaggi: non serve scandalizzarsi a scoppio ritardato né invocare purezze ideologiche astratte. Si può assumere per questo, quale utile profilassi storiografica, la riflessione  di Canfora, contro chi, come Gianni Riotta, si arma addirittura di twitter per denunciare sbianchettamenti di 80 anni fa:

“Le raccolte fondanti degli scritti di coloro che sono stati, nell’azione e nel pensiero, personaggi storici decisivi hanno di necessità sùbito vicende testuali determinate dalle esigenze di chi, dopo di loro e in nome loro, ha agito. Si potrebbe partire dalla tormentata e affascinante vicenda del canone neotestamentario, e si potrebbe seguitare sul filo dei millenni”.