I sondaggi definiscono la politica italiana: Pd primo partito, la destra rissosa sfiora la maggioranza

La politica in Italia vista attraverso i sondaggi di fine anno. Gli schieramenti sono abbastanza delineati.

Per gli addetti ai lavori è un po’ come il Monopoli: uomini di partito e giornalisti esaltano, secondo le simpatie, i progressi di pochi decimali di questo o quello schieramento.

Per un comune cittadino il quadro è quello da mesi. Anche se non ha studiato statistica o non ha dimestichezza con le indagini a campione, il comune cittadino sa che quei numeri sono indicativi ma non precisissimi. I sondaggi cercano di estrarre da un migliaio o due di italiani il sentimento di milioni. C’è un limite a tutto. Anche sondaggi ben più ampi, basati di decine di migliaia di interviste, possono mancare l’obiettivo: dipende dalla base territoriale con cui si è formato il campione. Basta spostare il campione dal nord al sud di una regione o di una provincia per distorcere l’esito.

Questo se si vuole analizzare il pelo nell’uovo. Se invece si guarda alla tendenza generale, i sondaggi spesso ci azzeccano.

Così è stato ad esempio per le ultime elezioni amministrative (ottobre 2021). La previsione era: “I sindaci alla sinistra, alla destra la maggioranza dei voti”.

Tre partiti stanno più o meno alla pari: il Pd, la Lega e FdI, Partito democratico, Lega e Fratelli d’Italia. Dall’ultimo sondaggio pre natalizio il Pd risulta primo partito. Sono concordi un po’ tutti, da Repubblica, che fa la media delle medie, alla agenzia Agi, alla AdnKronos, al Tg della 7

Repubblica fa il riassunto: “Da Euromedia Reserch (21,3%) a Ipsos (20,7%), da Swg (22,2) a Demopolis (21,4), da Tecnè (21,7) a Ixè (22,4), sola eccezione Termometro politico che dà in vantaggio di un punto Fratelli d’Italia: 21,1 a 20,1”.

La pagina della 7 è interessante perché riporta anche i risultati delle settimane precedenti, consentendo di verificare come gli scostamenti siano relativamente minimi. Essi dipendono anche dagli umori del momento: una mossa sbagliata, una battuta azzeccata di uno dei leader.

Ci sono però quattro trend di lungo periodo che restano impressi.

1 Il crollo dei grillini del M5s rispetto al trionfo elettorale del 2018 col quasi 33% dei voti, al 16,4% ultimo.

2. Lo sgonfiamento della bolla della Lega, passata a sua volta per un terzo dei consensi (ma virtuali, da sondaggio) per tornare ai valori espressi dalle urne tre anni fa.

3. Il boom di Fratelli d’Italia, da  poco più del 4% (tipo Calenda, appena il doppio di Italia Viva di Renzi) del 2018 ai dintorni del 20% di Natale 2021.

4. La stabilità del Pd sul suo zoccolo duro. Secondo i duri e puri della sinistra, il crollo dal 40 per cento cui lo portò Matteo Renzi nelle elezioni europee del 2014 dipese dalla deviazione centrista impressa al partito dall’ex rottamatore.

Nessuno mi pare si sia mai interrogato sul contrario. Che quel 20 di voti fosse frutto di una speranza di buon governo di provenienza ceti medi e moderati. E che le scemenze comportamentali di Renzi (capa dei vigili a fare le leggi, aereo invece di Smart) e di imitazione grillina (guerra ai pensionati) fecero rifluire quei voti non solo verso un partito, il M5s, ma soprattutto verso l’astensione.

Purtroppo Enrico Letta sembra sulla buona strada.

Per tenere assieme le piume dei comunisti di varia obbedienza, si lascia sfuggire 20 punti di voti moderati, anche dichiaratamente di destra, che sono lì da raccogliere in nome della chimera di una Italia ben amministrata.

Anche ora, i giornali vicini al Pd cantano i pochi decimali di crescita, dimenticando che, sommati ai consensi del Pd, i voti di tutti i cespugli di sinistra portano poco oltre il 30%. Mentre i tre partiti della coalizione di destra, Lega, FdI e Forza Italia, si avvicinano alla metà delle intenzioni di voto espresse ai sondaggisti.

Vero è che si odiano come i polli di Renzo, vero è che potrebbero ripetere gli impareggiabili errori delle elezioni comunali, tenuto conto che dei tre solo la Lega è un partito dove c’è gente che sa gestire la politica e sa amministrare.

Non può andare distante un partito in cui per chiedere la parola si fa il saluto romano e Forza Italia è sempre quel che resta di un partito aziendale e personale.
Ma contare sull’insipienza di Giorgia Meloni e sulle ganassate di Matteo Salvini è un gioco un po’ di corto respiro.

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