Il grande rischio: elezioni sub iudice, elezioni che non valgono e da rifare

Pubblicato il 9 Marzo 2010 - 15:44| Aggiornato il 21 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Un fantasma aleggia sulle elezioni regionali: per ora lo chiamano con nome latino “elezioni sub iudice”, tradotto in volgare significa elezioni che non valgono, da rifare. A dire il vero non aleggia, incombe. Fin dal primo giorno della prima lista presentata in ritardo e fuori regola. E non è neanche un fantasma, è una logica anche se drammatica conseguenza dell’aver consegnato la questione agli avvocati. Una conseguenza della politica pavida, opportunista, furbastra. Non è il “senno di poi”, il “fantasma” aveva carne e ossa per chi volesse vedere fin dal primo giorno. Per chi non fosse totalmente cieco.

Fin dal primo giorno era chiaro che nessuna “sentenza” poteva resuscitare alla legalità liste presentate fuori dalla legalità. Una sentenza che le riammettesse avrebbe “chiamato” ricorso e opposta sentenza che ne confermava l’esclusione e via all’infinito. E fin dal primo giorno era chiaro che andare a votare senza le liste del Pdl avrebbe inficiato il risultato, “chiamato” ricorsi e delegittimazioni a catena degli eletti e degli esclusi. Ma fin dal primo giorno ciò che era evidente era per la politica invisibile. Il governo, il Pdl e la maggioranza hanno cercato e forse cercheranno ancora una legge “contra legem”, cioè qualcosa che travesta da regolare ciò che regolare non è. Il “decreto interpretativo”, quello che stabilisce che le liste si danno per presentate per il solo fatto che qualcuno le aveva in mano. Ma nessuna “interpretazione” può dimostrare che quelle liste all’ora stabilita in mano ai presentatori ci fossero davvero, non c’è la prova. Quindi il Tar del Lazio non riammette la lista. Colpo a vuoto del governo, anche se ha “sparato” a mano legislativa armata sul processo elettorale.

Prima il governo aveva pensato ad altro, a un colpo di cannone: riaprire per decreto i termini di tempo per la presentazione delle liste. Napolitano ha fermato su questo Berlusconi: era contro la Costituzione e contro ogni opportunità democratica che il governo, parte in causa, manomettesse da solo date e procedure. Comunque, nell’uno e nell’altro caso, sia con il decreto interpretativo che con quello anti costituzionale, era ovvio e conseguente che sarebbero arrivati i ricorsi, che le elezioni sarebbero diventate “sub iudice”.

Qualcosa che spettava al governo e alla maggioranza sventare ma di cui anche l’opposizione doveva farsi carico. Perché elezioni “sub iudice”, elezioni che non valgono e quindi da rifare non sono una vittoria per l’opposizione, sono anzi un pericolo. Per tutti, per l’opposizione per prima. Pd e Idv, Bersani e Di Pietro, in modo diverso tra loro, hanno entrambi declinato questa responsabilità. Bersani ha atteso i pronunciamenti dei magistrati. Giusto, ma maledettamente troppo poco per evitare l’esito di “elezioni sub iudice”. Di Pietro e De Magistris cercavano un “golpe” da denunciare. Lo hanno frettolosamente trovato nel decreto firmato da Napolitano e hanno trovato così una loro specifica campagna elettorale da condurre in elezioni “sub iudice”.

Con diverso grado di irresponsabilità il governo e la maggioranza e poi anche le forze di opposizione hanno ficcato il Paese e la sua democrazia elettorale non in un “pasticcio” ma sotto la lama di una “ghigliottina”. Il ricorso al Consiglio di Stato comporterà che il Consiglio di Stato sentenzierà a maggio, ad elezioni già svolte. Quindi sarebbero elezioni a forte rischio di annullamento. Ed il ricorso alla Corte Costituzionale potrebbe trascinare la durata temporale del “sub iudice” per molti mesi. Questo non è un “pasticcio” che si affloscia, un piatto immangiabile, raffazzonato e disgustoso. E’ qualcosa di molto peggio: è veleno, avvelenamento progressivo della credibilità delle elezioni e quindi della democrazia. Non c’è uno che si alzi e tolga dal tavolo, anche a costo di bruciarsi le mani, quel veleno. E’ questo il fantasma che abita, anzi regna, nella terra della classe dirigente: l’irresponsabilità civile. Che sia poi ignorante di giurisprudenza è solo un dettaglio.