“Il Pd vieta la gnocca”: esagera Libero o chi vuole censurare gli spot provocanti?

di Redazione Blitz
Pubblicato il 9 Luglio 2013 - 07:20 OLTRE 6 MESI FA
"Il Pd vieta la gnocca": esagera Libero o chi vuole censurare gli spot provocanti?

“Il Pd vieta la gnocca”: esagera Libero o chi vuole censurare gli spot provocanti?

ROMA – “Il Pd vieta la gnocca“: così Libero Quotidiano – prima pagina di sabato 6 luglio – ha interpretato e decisamente criticato un disegno di legge di quattro senatrici del Pd che reca “Misure in materia di contrasto alla discriminazione della donna nelle pubblicità e nei media”. Le firmatarie sono Silvana Amati, Manuela Granaiola, Daniela Valentini e il vicepresidente di palazzo Madama, Valeria Fedeli.

Il disegno di legge intende vietare l’utilizzo “discriminatorio” del corpo della donna nelle pubblicità su carta stampata e soprattutto tv. Il riferimento è alle

“immagini che trasmettono, non solo esplicitamente, ma anche in maniera allusiva, simbolica, camuffata, subdola e subliminale, messaggi che suggeriscono, incitano o non combattono il ricorso alla violenza esplicita o velata, alla discriminazione, alla sottovalutazione, alla ridicolizzazione, all’offesa delle donne”

Le punizione previste sono multe fino a 5 milioni di euro e reclusione fino a 3 mesi di carcere.

Nel mirino ci sono gli “stereotipi di genere”, che “restringono dunque il margine di manovra e le opportunità di vita di donne e ragazze, ma anche di uomini e ragazzi”.

Così argomentano le quattro senatrici del Pd:

“pubblicità e media presentano il corpo femminile come mero oggetto sessuale, esistente per l’uso e per il piacere altrui […] nelle adolescenti, nelle donne giovani […] un’ossessiva attenzione al corpo che provoca manifestazioni di ansia e aumento di emozioni negative, riduce la consapevolezza dei propri stati interni […] provoca anche conseguenze molto serie sul benessere psico-fisico delle persone che la subiscono: è infatti correlata a un aumento dei disturbi depressivi, delle disfunzioni sessuali, dei disordini alimentari”.

Quindi bisogna

“Inserire al codice delle pari opportunità un articolo 1 bis che disciplina il divieto di utilizzare l’immagine della donna in modo vessatorio o discriminatorio ai fini pubblicitari”.

Punire sarà compito del

“ministro delle Pari opportunità, anche su denuncia del pubblico, di associazioni e di organizzazioni, nonché di ogni altra pubblica amministrazione che vi abbia interesse in relazione ai propri compiti istituzionali”. Ad applicare le sanzioni ci penserà una apposita sezione-commissione “per il contrasto alla discriminazione della donna nella pubblicità e nei media”, istituita all’interno della Autorità garante della concorrenza e del mercato, che avrà perfino poteri di censura preventiva. La commissione apporrà “un apposito bollino” a “certificare la conformità del messaggio pubblicitario a criteri di qualità e finalità socio-educative per linguaggio, immagini e rappresentazioni, in linea con i criteri di tutela della donna stabiliti dalla presente legge”.

Sarà quindi vietata

“la trasmissione sui circuiti televisivi pubblici e privati sul territorio nazionale di pubblicità o messaggi pubblicitari che non hanno ottenuto il bollino di cui sopra”.

Anche i Comuni potranno intervenire

“inibendo a monte l’affissione di pubblicità sessiste o discriminatorie, lesive della dignità delle donne”.

I manifesti “discriminatori” dovranno essere “coperti con una scritta adesiva, ben visibile, che recita: SANZIONATO“. Gli operatori pubblicitari che non rispetteranno i divieti di spot e manifesti saranno puniti “con l’arresto fino a tre mesi e con l’ammenda fino a 5 milioni di euro”.

Così recita il testo del disegno di legge delle senatrici, che Libero chiama “le Inquisitrici“, che “invece di pensare alla crisi”, “non vogliono solo censurare le belle ragazze degli spot, ma intaccare i nostri diritti: così fanno i talebani”. Un occhiello sintetizza tutto: “Rigurgiti comunisti”.

La risposta non arriva dalle senatrici interessate ma dal quotidiano del Pd, L’Unità. È Sara Ventroni a ironizzare così sulla campagna di Libero:

“Il mirabolante pezzo di Bechis, onaneggiando sulla farfalla di Belen e la gazzosa sospirante di Uma Thurman, paventa nientemeno che la morte dell’eros pubblicitario e il trionfo di un ipotetico moralismo postfemminista. La querelle, in realtà, è già vecchia e bollita. E basta leggere Nina Power («La donna a una dimensione», del 2004 ma tradotto in Italia nel 2011) per capire la differenza che corre tra libertà (anche sessuale) e messa in produzione, in serie, della propria libertà (anche sessuale). E non c’è bisogno di Guy Debord per dire che già da qualche lustro, l’immaginario – sì, anche quello pubblicitario – è formazione.

Una cosa è certa: quando Silvio uscirà di scena, i catoni perderanno il gusto della boutade. All’improvviso si scopriranno acculturati, laureati in doppia morale, con un occhio ad Arcore e uno a oltre Tevere. Perbenisti di riporto. E continueranno a credersi corrosivi perché scrivono «frocio» invece di «gay». Ma soprattutto, si scopriranno nostalgici. Anzi: già lo sono”.

Certo, i toni di Libero saranno anche esagerati, il berlusconismo non sarà mai sinonimo di emancipazione femminile, ma nell’iniziativa delle quattro senatrici pd è assai duro intravedere anche dei lontani barlumi di necessità.