Hammamet, Tunisia, tomba di Bettino Craxi. Il registro dei visitatori italiani, molte decine di migliaia in dieci anni, mostra, tra le tante, le firme di Christian De Sica, Gerry Scotti e Francesco Totti. Con tutto il rispetto per i tre firmatari, è difficile supporre in tutti e tre i casi un omaggio consapevole al “riformista” Bettino o un intento politico “riparatore” nei confronti dello statista mal trattato dalla sua nazione.
Il gesto di apporre quella firma sembra più figlio di una generica solidarietà umana, una forma spontanea di “turismo umanitario”. Si firma quel registro un po’ come si lasciano le proprie iniziali vergate su un monumento storico, una forma sofisticata dello stesso atto. Chi e cosa sia stato Bettino Craxi in fondo non importa: è stato, quindi merita omaggio. E’ stato grande, quindi si può accostare il proprio nome al suo. Fine della storia, semplice.
Fine, perchè la storia vera non è per nulla semplice e costa fatica conoscerla, farci i conti. Christian, Gerry e Francesco non sono orfani del Psi che fu, sono contemporanei dell’Italia che è: buoni sentimenti e nessun problema. L’Italia di oggi che si prepara a riaccogliere Bettino Craxi e la sua memoria.
Il 19 gennaio saranno dieci anni dalla morte di Bettino Craxi, morto, insieme e contemporaneamente, “latitante ed esule”. L’insostenibile fatica di questa duplice e non doppia verità, sia quella della fuga che quella dell’esilio, consiglia all’Italia di oggi una coppia concettuale più semplice e sbrigativa che che il senso comune accoglie e che suona più o meno così: “Fu soprattutto un riformatore e riformista, anche se ladro, ladro più per necessità che per vizio”. Rovesciamento simmetrico e speculare del giudizio e del comune sentire al tempo in cui Craxi fece i definitivi bagagli per la Tunisia: “Fu soprattutto un ladro, anche se riformatore e riformista, più per astuzia che per cultura”.
Entrambe non sono versioni estreme della storia, sono storie sbagliate. Perchè la storia, quella vera, è sempre complicata e contraddittoria. Anche quella di Bettino Craxi. Tanto riformista e riformatore in realtà non fu. Il suo riformismo può essere riassunto al 95 per cento in due comandamenti e obiettivi: far fuori i comunisti e contare, con il 10% dei voti, come se fossero un terzo di più. Il primo intento è poi stato benedetto e realizzato dalla storia che dopo Craxi venne. Craxi lo seppe tra i primi, bravo. Ma molto meno bravo fu nella pratica di questo suo “sapere”. Togliere politicamente di mezzo i comunisti era al tempo di Craxi una pre condizione per un riformismo di governo. Craxi ne fece un fine, un obiettivo a se stante. Gettò insieme il seme non germogliato del riformismo socialista e quello, fiorito rigoglioso con Berlusconi, dell’anticomunismo come politica di governo.
Il secondo intento, felicemente riassunto da Craxi stesso nello pseudonimo da lui adottato di Ghino di Tacco, fu di collocare il suo partito nella stretta gola in cui deve passare ogni governo e lì esigere pedaggio. Quel che oggi fa Bossi, ieri ha fatto Rifondazione comunista, domani vorrebbe fare Di Pietro. Non una “grande riforma”, anzi la fondazione di un metodo che ha reso deboli tutti i governi italiani e la stessa “governabilità” del paese.
Tanto ladro Bettino Craxi non fu, neanche quello. Ai suoi tempi ci si affannava e ingegnava a distinguere tra “rubare per il partito” e rubare per se stesso. Peccato veniale il primo, mortale il secondo. Craxi conosceva e consentì entrambe le attività. Al suo partito e ai suoi uomini, tra cui alcuni furono campioni esclusivi del “rubare per il partito” e solo per il partito. E altri furono campioni del fare per sé. Personalmente Craxi controllò, assegnò, maneggiò tanto denaro frutto di tangenti. Non risulta ne sia rimasto tanto attaccato alle sue mani. Non risulta ne sia rimasto attaccato nulla.
Del suo tempo Craxi fu un contemporaneo, uno dei più abili e svegli. Riformista incerto riguardo alla società italiana, riformatore di certo dei rapporti di forza tra Psi, Pci e Dc. Ladro “ambientale” perchè così “facevano tutti”. Oggi che così fanno tutti, ma proprio tutti, ceto politico e società civile italiani concordi nel ritenere e trattare il denaro pubblico come finanziamento “naturale” ad interessi privati, resuscita senza mai essere morto davvero il rispetto per l’abilità, la prontezza, la sagacia, il coraggio di agire. Svanisce, evapora il bilancio di un riformismo debole in assonanza con la poca voglia che l’Italia ha di riformismo vero e il parallelo bisogno di costruirsi una favola storica del riformismo mancato.
E’ “normale” direbbe Totti che l’Italia di oggi riaccolga Craxi. Bettino non fu peggiore della sua epoca, anzi. E l’Italia che venne dopo di lui, grazie un po’ anche a lui, è peggiore di quella di Craxi.
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