“Impresa in giro”: il rinvio sui crediti mentre la manifattura muore

Pubblicato il 4 Aprile 2013 - 12:02| Aggiornato il 10 Dicembre 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – “Impresa in giro”: anche Il Manifesto decide di aprire l’edizione quotidiana associandosi idealmente al grido di dolore del Sole 24 Ore (il logo “Basta giochi” è diventato una presenza fissa) e di Confindustria: altre non tollerabili tasse, meccanismi farraginosi per i pagamenti, il decreto del ministro dell’Economia ha finito per scontentare proprio tutti, partiti in blocco, imprese, sindacati, pezzi di Governo (il ministero dello Sviluppo di Passera). Per finire con la stessa Europa che invita a fare presto e meglio: il Commissario Ue Tajani, artefice con Olli Rehn dell’apertura sull’innalzamento del deficit, denuncia poco coraggio e ricorda come “l’Italia ha i margini per pagare tutto”, cioè l’intera posta degli arretrati, 90 miliardi, e non solo una quota parte di 40.

Contrarietà unanime quindi, che però, come conseguenza, per ora conduce paradossalmente a un rinvio dell’urgentissimo decreto.

Le ragioni dell’urgenza ce le mostra ogni giorno il mondo reale. Quello che ci ammonisce: il manifatturiero in Italia è indietro di vent’anni, con il rischio immediato che la crisi strutturale si avviti fino al punto da non consentire più alcun recupero. Uno studio di Nomisma (lo pubblica oggi Il Sole) ci dice che in appena otto anni la manifattura ha perso un quindo della sua capacità di produzione effettiva, mentre il prodotto “potenziale” dell’industria è sceso ai livelli del 1991.

Queste variabili prese in considerazione dagli studiosi smontano il salto logico nell’analisi della crisi italiana di chi fa discendere tutto da una crisi finanziaria che nel giro di un paio di anni innesca quella industriale. Il nostro è un male più antico, quello di “un organismo manifatturiero, ormai da sei anni, con le calorie degli ordini e le proteine del credito ridotte al lumicino” (Paolo Bricco). Aggravato da un andamento dello spread (sembra che adesso non esista o non conti più) che mentre aumenta “si trasmette rapidamente sulle condizioni di finanziamento alle aziende” (Fondo Monetario Internazionale). Nel frattempo, ogni giorno, mille aziende mille chiudono bottega.