Napolitano, il decreto, la piazza e gli “eroi della Costituzione”

Pubblicato il 8 Marzo 2010 - 14:16| Aggiornato il 21 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

In piazza, sul web, in coscienza e magari in cabina elettorale: ben venga e magari si manifestino la preoccupazione e la protesta contro un governo che maneggia per decreto le regole e le leggi elettorali. Magari, non fosse altro perché è lecito dubitare della esatta e completa percezione di massa di ciò che è accaduto. L’increspatura che agita l’opinione pubblica è meno profonda di quanto non appaia dalle cronache, al fondo il paese sembra ormai insensibile, insensibile perfino quando si tocca il cuore e l’anima del patto sociale, il patto elettorale appunto. Il governo ha fatto un decreto su una materia nella quale la legge vieta di decretare. Il perché di questo divieto è ovvio: chi decreta durante la fase elettorale è parte in causa. E infatti il governo ha decretato a favore delle “sue” liste. Apertamente ha adattato, “interpretato” la legge a immagine e misura dei suoi interessi. Ha quindi iniettato un “veleno” in tutta la vicenda elettorale, questa e quelle che verranno, il veleno della partigianeria che lavorerà a lungo nell’organismo sociale, fino a inoculare la possibilità di sentire “non valide” le elezioni e quindi “non accettabile” il loro risultato qualunque esso sia.

Quindi, in piazza, sul web, nelle coscienze…Eppure con qualche “se” e qualche “ma”, figli legittimi di civile onestà. Il primo “se”: se il governo non faceva il decreto che non doveva fare cosa davvero voleva che succedesse ciascuno che giustamente si preoccupa e protesta? Sia onesta la risposta. Si voleva che le liste del centro destra irregolari fossero escluse, si voleva che alla fine non partecipassero alle elezioni? Rispondere in coscienza e intelletto, almeno di fronte a se stessi. Se non si voleva questo, come tutti dichiarano, non era grande e coerente strategia e atteggiamento quello di rimettersi alle decisioni dei giudici. Se si voleva garantire la legalità e insieme non escludere quelle liste, allora occorreva farsi carico di una proposta. Scelta rischiosa e proposta rischiosa. Ma necessaria per essere onesti e fino in fondo a difesa della democrazia.

Proposta che dall’opposizione non è venuta. Questa assenza, questa mancanza ha un forte alibi: il Pdl, Berlusconi in prima persona e il governo tutto non hanno ammesso i loro errori, hanno inventato ostilità e congiura ai loro danni, hanno recitato la parte delle vittime. Alibi vero, fondato, documentato. Alibi che spiega e scagiona, ma non assolve. La questione infatti non era la lista del Pdl ma niente meno che la democrazia elettorale. E, se maggioranza e governo non se ne curano, toccava all’opposizione curarsene in pieno.

Rileggiamo quanto il capo dello Stato Napolitano ha scritto a due cittadini che l’avevano chiamato in causa e, in fondo, a tutti i cittadini italiani: “Non era sostenibile” che le due liste non ci fossero. “L’opposizione aveva detto di non voler vincere a tavolino…”. Allora “un accordo tra maggioranza e opposizione?”.  Impossibile per “tendenza all’autosufficienza e scelte unilaterali da una parte (governo e maggioranza ndr) e “per diffidenze di fondo e indisponibilità dall’altra parte (l’opposizione ndr). Napolitano prosegue: il governo in un primo momento ha presentato un “testo con evidenti vizi di incostituzionalità”, “da nessuna parte politica si è indicata una soluzione che potesse essere esente da vizi”.

Dunque il governo voleva violare la Costituzione e nessun altro si è mosso con nessuna proposta. Le cronache raccontano di un confronto tra Berlusconi e Napolitano alterato nella “sostanza e nella forma”, con il presidente del Consiglio ad intimare che lui e solo lui è “l’unico eletto dal popolo”. Questo è quanto raccontano i fatti e quanto racconta Napolitano. Fatti e racconto che purtroppo contraddicono l’ottimismo di maniera dello stesso Napolitano 48 ore dopo, quell’ottimismo non della volontà e neanche dell’intelligenza ma solo della diplomazia che porta il capo dello Stato a dire che “Il paese crede nella Costituzione”. “Crede” nella Costituzione un paese in cui il governo e la maggioranza parlamentare la Costituzione esige di poterla violare e in cui l’opposizione fa carico alla sola magistratura di difenderla e allontana da sè il “calice” di una proposta che la difenda? “Crede” nella Costituzione un paese in cui il 23,3 per cento dei cittadini, meglio dire abitanti, allegramente dichiara di non informarsi “mai” sulla politica e il 60,7 per cento gesuiticamente dice: “mi informo una volta a settimana”? “Crede” nella Costituzione un paese dove gli elettori del centro destra se “ne fregano” se la loro parte “aggiusta” le leggi e gli elettori del centro sinistra “glissano” sul dovere, anche della loro parte, di far partecipare al voto le liste avversarie?

Sui cartelli innalzati dal “popolo viola” si legge: “Presidente, non abbiamo capito”. Il timore, fondato, è che non abbiano capito davvero. Non il decreto, che non può essere “capito”. Che non abbiano capito, non capiscano che non si poteva abdicare al dovere civile di garantire la partecipazione al voto delle liste del Pdl. E che questo dovevano chiedere anche all’opposizione, anche alla “loro” parte. Anche Bersani e il Pd non hanno “capito” o non hanno potuto capire. E non capisce Di Pietro che il problema non è “l’arbitro” ma la possibilità stessa del gioco elettorale. L’opposizione tutta avrebbe dovuto dire: imbrogliano, stanno imbrogliando ma noi siamo pronti ad una legge condivisa che faccia partecipare tutti alle elezioni. E questo dovrebbe dire la piazza, il web, la coscienza individuale e civile. E la gente di destra avrebbe dovuto disprezzare il trucco, la manomissione. Atteggiamenti e pensieri ovvi in un paese che “crede” nella Costituzione. Ma così non è e in fondo lo ammette lo stesso Napolitano quando dice: “beato il paese in cui per essere buoni cittadini non bisogna essere eroi”. Qui e oggi “eroi” non se ne vedono ma neanche, purtroppo, cittadini.