ROMA – Una serie di inchieste giudiziarie che mirano al cuore del potere politico in Italia sono condotte dalla Procura della Repubblica di Napoli.
Se ne occupano i pubblici ministeri Henry John Woodcock, Francesco Curcio e Vincenzo Piscitelli, e ha come bersagli da una parte Luigi Bisignani, intimamente legato al sottosegretario Gianni Letta e dall’altra parte Marco Milanese, deputato considerato braccio destro del ministro-zar dell’Economia Giulio Tremonti.
Secondo vari giornali, proprio Letta e Tremonti sarebbero i veri obiettivi delle due inchieste, la seconda finora più ricca di concrete ipotesi di reato (associazione per delinquere e violazione del segreto istruttorio, come riporta il Sole-24 Ore), la prima ancora un po’ nel vago, tanto che Marco Lillo, sul Fatto Quotidiano, afferma che non si sa ancora se poi saranno accertati fatti con rilevanza penale ma “al di là della loro eventuale attinenza a fatti penali, tutta da dimostrare, questi episodi rivelano che i personaggi chiave della P4, un’influenza sui centri vitali del Paese, come la Rai e le nomine dei servizi segreti, puntano a esercitarla. Per entrare nelle segrete stanze del potere, però, bisogna immaginare un paio di scene”.
Non può sfuggire l’abuso della P come sigla seguita da un numero per indicare confraternite più o meno numerose e segrete, sull’orma della P2, che sta per Propaganda 2, loggia massonica di cui fu gran maestro Licio Gelli, molti dei cui iscritti riemergono nelle varie reincarnazioni di P3, P4 e chissà P5 fino a Pn. Ma questo è un dettaglio di contorno, che deriva dalla capacità di gestione mediatica di alcuni Pm e la maggiore propensione dei giornalisti a dare spazio alle notizie se riconducibili al filo conduttore della P.
Scrivono Marco Lillo e Antonio Massari sul Fatto Quotidiano: è Bisgnani “che intrattiene rapporti con (il direttore generale della Rai, Mauro) Masi e (il direttore dell’Aise, Adriano) Santini. Un uomo riservato. Estremamente riservato. Ma anche estremamente potente: la sua rete di relazioni spazia dall’Eni alla presidenza del Consiglio. Ha una grande esperienza nel settore dell’informazione e dei mass media”.
Sullo stesso giornale rincara Fabrizio d’Esposito: “Nel luglio del 2008 da un’intervista a Repubblica di Giuliano Tavaroli, l’ex capo della security di Telecom accusato di dossieraggio illecito. Tavaroli parla dei suoi rapporti romani e dice: “Mi immagino una piramide. Al vertice superiore Berlusconi. Dentro la piramide, l’uno stretto all’altro, a diversi livelli d’influenza, Gianni Letta, Luigi Bisignani, Scaroni, Cossiga, Pollari. È il network che, per quel che so, accredita Berlusconi presso l’amministrazione americana. Io non esito a definire questa lobby un network eversivo che agisce senza alcuna trasparenza e controllo. Mi resi conto subito che quella lobby di dinosauri custodiva segreti (gli illeciti del passato e del presente) e li creava”.
E ancora d’Esposito: “Avversario della ‘Ditta’ di Letta e Bisignani è il cartello di Giulio Tremonti, che ha buoni rapporti con la Lega ma fa sponda con il finanziere bianco Giovanni Bazoli per arginare dentro Rcs Cesare Geronzi, incluso nella filiera romana”.
Di Bisignani, giornalista di 57 anni, si ricorda che fu “il più giovane degli adepti, alla P2 del venerabile Licio Gelli”, negli anni Novanta condannato a due anni e otto mesi per aver portato una parte della maxi tangente Enimont, parecchie decine di miliardi di lire, nella banca vaticana dello Ior”.
Marco Lillo è arrivato a paragonarlo a Richelieu, anche se in realtà il cardinale francese agiva tutt’altro che con discrezione e nell’ombra: viveva nello sfarzo, ammassava una fortuna per i suoi eredi, agiva alla luce del sole come primo ministro e voleva sempre più potere e gloria. Certo agiva anche nei meandri degli intrighi della corte di Luigi XIII (il padre del Re Sole), mettendo a dura prova l’abilità dei quattro moschettieri, eroi di infanzie in era pre gormiti. e agiva anche di notte per convincere la regina, Anna d’Austria, a concedergli le sue grazie, spingendosi, l’austero cardinale, a ballare per la regina, nell’intimità di un salotto del Louvre, la sarabanda, peraltro con nullo effetto.
Ma Bisignani tutto questo non sembra essere. Se Lillo scrivesse per un giornale americano avrebbe usato un altro sprannome, quello di Machiavelli, che agli occhi loro incarna tutto quello che c’è di sordido, scorretto, misterioso nella politica e nella umanità in genere. Questo lo sapeva, sempre in era pre-gormiti, anche Topolino.
La vicenda che riguarda Milanese. L’inchiesta napoletana, scrive sempre il Fatto Quotidiano, vede anche “indagato per corruzione il braccio destro del ministro Giulio Tremonti: il deputato Marco Milanese. Dopo l’arresto dell’imprenditore Paolo Viscione, avvenuto a dicembre, il pm Vincenzo Piscitelli continua la sua attività istruttoria. Nei mesi scorsi ha convocato il ministro Tremonti. Due giorni fa invece Manuela Bravi. La Bravi è portavoce del ministro del Tesoro ma, soprattutto, è considerata molto vicina a Milanese. Nell’inchiesta condotta da Piscitelli, tra le ipotesi da accertare, c’è che Viscione abbia elargito parecchi doni a Milanese. E proprio questo è stato l’oggetto dell’interrogatorio di Manuela Bravi, sentita come persona informata sui fatti, nell’ambito di un’altra inchiesta napoletana – nata scoprendo un gruppo di professionisti dediti a grandi frodi fiscali – che sembra puntare molto in alto. Sul versante frodi, Viscione, non s’è sottratto alle domande dei pm. Ma ha anche lasciato intendere d’essere stato vittima di un sistema “politico”. Un sistema sul quale, il pm Piscitelli, sta cercando di far luce”.
Le sim card segrete. Un altro tassello della vicenda, riportato oggi da diversi giornali (tra cui Repubblica, il Giornale e il Fatto Quotidiano). Secondo un articolo di Antonio Massari per il Fatto, “la P4 utilizzava un ampio numero di schede telefoniche intestate (falsamente) ad altri soggetti. Alcune di queste schede potrebbe averle utilizzate anche lui (Bisignani). Non è la prima volta che Bisignani è in contatto con uomini intenti a “coprire” le comunicazioni telefoniche. Le inchieste che stiamo citando non hanno alcuna connessione giudiziaria, ma è interessante raffrontare le indagini condotte da Luigi De Magistris (“Why Not”, nella quale Bisignani fu indagato, perquisito e poi archiviato) e da Pierpaolo Bruni.
Nel decreto di perquisizione citato da Massari ci sarebbe scritto che “Il sistema criminale utilizza e muta continuamente schede telefoniche falsamente intestate a soggetti, anche extracomunitari”, aggiungendo che “tra le finalità della P4, c’è l’acquisizione di notizie riservate di stampo giudiziario per ‘avanzare pretese’ nei confronti di imprenditori in cambio di una ‘presunta protezione giudiziaria’”.
E tra i membri della P4, sempre secondo l’accusa citata dal Fatto, ci sarebbe un parlamentare del Pdl: il giudice Alfonso Papa, mentre tra gli indagati ci sarebbe un maresciallo dei carabinieri, Enrico La Monica, che, secondo quanto scrive Massari, “ambiva a entrare nei servizi segreti”.
Bisignani, scrive ancora Massari, era in contatto sia con Papa sia con un altra persona con contatti nella telefonia: Salvatore Cirafici, “direttore della sicurezza Wind” all’epoca dell’inchiesta Why Not nella quale venne coinvolto, “l’uomo al quale ogni procura d’Italia inviava le richieste per intercettare i telefoni o acquisire i tabulati. Un uomo in grado di conoscere parecchi segreti d’indagine”.
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