Ingroia accusò Grassi sul caso Dell’Utri. Severino chiede azione disciplinare

Pubblicato il 18 Marzo 2013 - 13:16| Aggiornato il 15 Ottobre 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – “La mia cultura della prova viene dagli insegnamenti di Falcone e Borsellino. Quella del presidente Grassi non so”. Questa la frase, indirizzata dall’ex pm Antonio Ingroia al presidente della quinta sezione penale della Cassazione, Aldo Grassi, all’indomani della sentenza che annullava con rinvio la condanna di Marcello Dell’Utri a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Le esternazioni di  Ingroia non sono piaciute al ministro della Giustizia Paola Severino che ha chiesto al procuratore generale della Cassazione l’avvio di un’azione disciplinare nei suoi confronti. Ne dà notizia il Corriere della Sera.

E’ già il secondo richiamo disciplinare per l’ex pm che già ai tempi dell’inchiesta sulla presunta trattativa tra Stato e mafia,  riguardo alle intercettazioni al capo dello Stato, Giorgio Napolitano,  aveva parlato in maniera poco opportuna, e anche in quel caso era scattato un provvedimento. Il pg della Cassazione aveva infatti inviato al Csm un “atto di incolpazione” con l’accusa di “aver vilipeso la Corte costituzionale e leso il prestigio e la reputazione dei suoi componenti”. Il guardasigilli ora chiede al Csm di estendere quelle accuse.

Le espressioni usate da Ingroia, scrive il ministro Severino, “insinuanti e allusive, si sostanziano di un giudizio pesantemente offensivo per i magistrati autori della decisione, cui viene attribuita la responsabilità di contribuire a vanificare l’opera di ripristino della legalità iniziata dal pool di Falcone e Borsellino”. Per Severino, le esternazioni del magistrato palermitano sono anche un “gratuito attacco personale diretto a colpire la figura del Dottor Grassi, cui viene attribuita, in modo del tutto fuorviante e gravemente scorretto, la paternità dell’esito della decisione” e che “viene additato come portatore di una cultura della prova di dubbia matrice e comunque lontana da quella di Falcone e Borsellino”.

Di qui l’accusa per Ingroia di aver “agito in violazione dei doveri di equilibrio di riserbo e correttezza, avendo svilito agli occhi della pubblica opinione la dignità della decisione”.