Intercettazioni, commissione Giustizia: ok a condanne per editori

Pubblicato il 19 Maggio 2010 - 15:48 OLTRE 6 MESI FA

Condanne aspre per editori che pubblicano le intercettazioni. Dopo l’accelerazione della notte tra il 18 e 19 maggio, la Commissione Giustizia del Senato continua il tour de force per approvare il più velocemente possibile le norme “calde” del disegno di legge sulle intercettazioni.

L’ultima norma approvata, all’ora di pranzo di oggi 19 maggio, è quella che inasprisce le condanne per gli editori con il pagamento di una somma che potrà arrivare ai 464.000 euro. Ancora non votata, invece, la norma che punta a intensificare le pene anche per i giornalisti.

Dopo l’approvazione dell’emendamento su editori, la Commissione Giustizia del Senato ha concluso la sua seduta pomeridiana. L’esame del ddl intercettazioni continuerà dunque in seduta notturna.

In un primo momento alcuni senatori, uscendo dalla commissione, avevano detto che era stato approvato anche l’altro emendamento, che prevedeva pene severe anche per i giornalisti: arresto fino a due mesi e il pagamento di un’ammenda dai 2.000 ai 10.000 euro. Ma in serata arriva la smentita da parte del relatore del provvedimento Roberto Centaro che dice: “Probabilmente a causa delle prolungate sedute notturne, senatori di maggioranza ed opposizione danno ai cronisti, fuori dell’aula della commissione Giustizia del Senato un’informazione sbagliata: l’emendamento che inasprisce le condanne per i giornalisti che pubblicano atti e intercettazioni vietati per legge, non è stato approvato ma é stato accantonato”.

Nel corso della lunga seduta notturna, contraddistinta da toni aspri e momenti di tensione, avevano intanto ricevuto l’ok, tra le altre, la cosiddetta norma ‘D’Addario’ e le norme sul diritto di cronaca, ribattezzate ‘Salva-Iene’. La commissione, in tutta fretta, ha cioè stabilito, dando il via libera a queste norme, che non si potranno più registrare conversazioni senza che ci sia il consenso di tutte le parti interessate. Stop anche alle riprese visive: chiunque verrà condannato per riprese e registrazioni fraudolente, rischia fino a quattro anni di reclusione.

Non si potranno inoltre fare riprese tv di processi se non ci sarà il consenso di tutti. Passa anche la misura “antitalpe”: chiunque riveli notizie che riguardano atti o documenti processuali coperti da segreto, rischia il carcere da 1 a sei anni.

Norma D’Addario. Nessuno potrà più registrare conversazioni senza che ci sia il consenso di tutte le parti interessate. Né fare riprese visive. La condanna per aver effettuato riprese o registrazioni fraudolente arriva fino a 4 anni di carcere. Si farà eccezione nei casi in cui tali registrazioni vengano fatte per la sicurezza dello Stato o per dirimere una controversia giudiziaria o amministrativa.

Norma “Salva-Iene”. In tarda notte era stata accolta la richiesta dell’opposizione di inserire una norma ’salva-Iene’: il giornalista professionista che effettuerà riprese e registrazioni nell’ambito di attività di stampa o di cronaca sancite solennemente dall’articolo 21 della Costituzione non rischierà alcuna condanna.

Religiosi intercettati. Via libera anche alla norma per la quale se un pubblico ministero intercetta o indaga un uomo di Chiesa deve darne immediato avviso al Vaticano.

Atti processuali coperti da segreto. Chiunque riveli indebitamente notizie che riguardano atti o documenti del processo coperti da segreto rischia il carcere da 1 a sei anni. La persona che rivela indebitamente questo tipo di notizia deve esserne venuta a conoscenza “in ragione del proprio ufficio o servizio svolti in un procedimento penale”. In questo modo si vuole punire il cancelliere o il magistrato che rivelino in qualche modo notizie riguardanti questi atti o ne agevolino in qualsiasi modo la conoscenza. Stessa condanna, ovviamente, tocca al giornalista che viene chiamato a rispondere in “correità con la talpa che gli ha fornito l’informazione”. Queste pene sono aumentate se il fatto riguarda comunicazioni di servizio di agenti dei servizi. La pena massima è stata aumentata dal governo a sei anni (il testo licenziato dalla Camera ne prevedeva 5) perché così, tra l’altro, si tratta di un reato intercettabile.

Intercettazioni da distruggere. Chiunque pubblichi intercettazioni di cui sia stata ordinata la distruzione o che risultino estranee alle indagini potrà essere punito con il carcere da 6 mesi a tre anni.